Danilo Ciavattini: la Tuscia è servita
Lo chef che ha fissato Viterbo nella cartina geografica delle città gourmet è Danilo Ciavattini che, con l’omonimo locale, permette ai clienti di assaporare piatti tipici del territorio rivisitati in chiave moderna. Chef Ciavattini ha bissato nel centro viterbese la stella Michelin già ottenuta nel 2013 con il ristorante romano di Villa Laetitia, di proprietà di Anna Fendi. Lo chef, nato in piena Tuscia (Soriano nel Cimino) non poteva però non valorizzare quella che è la sua terra con quella che, nel corso degli anni, è diventata la sua cucina.
La somma è presto fatta, una somma gourmet che poggia sulla tradizione di uno dei centri storicamente e culturalmente più ricchi d’Italia. Danilo ci ha aperto le porte del suo ristorante e ci ha spiegato la sua cucina fatta di territorialità e tradizione.
Chef, molti tuoi altri colleghi hanno girato il mondo trovando la propria affermazione lontano dalle loro terre d’origine. Tu ha viaggiato molto ma hai deciso di tornare a casa sua…
Sicuramente perché prima di tutto sono affezionato a questa terra e alla mia città. Il mio viaggio di formazione è stato comunque orientato verso un ritorno in quella che è casa mia. L’obiettivo è sempre stato quello: andare in giro per il mondo ma poi tornare qui nella terra che amo. In questo non ho mai avuto dubbi.
Molti tuoi piatti prendono spunto dalla tradizione per così dire povera della gastronomia del territorio. Su tutti forse l’acqua cotta è ciò che è più legato al viterbese, come si riesce a rendere un piatto appunto povero il centro di un menù stellato?
Come esempio l’acqua è perfetto. È un piatto della tradizione povera locale che ho voluto rivisitare in chiave gourmet. Non è un piatto che può essere soggetto a molte interpretazioni sia per ingredienti usati che per preparazione, non permette di muoverti molto. Ho capito che la vera forza di un ristorante è legata alla territorialità e alla cultura del cibo di quel territorio, quella è la più grande forza perché per un turista che entra in una terra nuova il miglior modo possibile per capire quel territorio è magiare i piatti, che nascono in funzione di quello che è il territorio d’origine. L’acqua cotta ha una storia contadina ma la tradizione non deve essere considerata un vincolo che ti lega a determinate preparazioni, ma è solo il legame che ti conduce al territorio, Poi puoi spaziare con l’innovazione e la tecnica. Se poi un piatto regge nel tempo è perché è valido, buono e apprezzato.
Il pubblico sembra sempre più in cerca di sapori e proposte esotiche, lontane. Tu invece ti sei affermato nel tuo territorio con i sapori del territorio stesso. È stato difficile far scoprire alla gente una nuova versione di piatti tipici del territorio?
Non faccio una cucina a km zero solo per utilizzare un prodotto locale che magari non mi piace. La mia è una cucina di ricerca del territorio, non ho mai perseguito una cucina che prevede l’inserimento nel menù di piatti dai nomi altisonanti ma che appartengono ad altre culture, non li sento miei e non li reputo giusto per il territorio.
L’idea di cucina cambia col passare degli anni e la maturazione personale e professionale?
Quando ho viaggiato ho creduto che quello che imparavo l’avrei riportato a casa. In fin dei conti è così, tutto serve per perfezionare la propria idea di cucina ma è fondamentale non farsi influenzare troppo per non snaturarsi e mantenere forte il legame col territorio. Le mie esperienze fuori mi hanno permesso di capire maggiormente la mia terra, di vederla da un’altra prospettiva e ho capito realmente la ricchezza gastronomica della Tuscia.
Programmi di cucina hanno reso più democratica, popolare l’alta cucina che magari fino a qualche anno fa era di interesse solo di una nicchia?
Per me l’hanno fatta conoscere meglio, una volta che entra in tv una cosa è normale che viene resa più popolare. Poi chi vuole capire una cosa, come per tutte le cose, cerca di approfondirla. Per l’alta cucina è lo stesso discorso.
Ormai l’aspetto visivo/estetico è allo stesso livello di quello legato al puro gusto?
È un discorso vasto e importante. Oggi c’è molta attenzione più al lato estetico del piatto che a quello del gusto. Il ragionamento del gusto ti compromette alcune cose, in fase di preparazione del piatto. Magari per conservare certi colori, certe sfumature di un prodotto di “sacrifica” il giusto modo di cucinarlo. O si va dietro al sapore o dietro all’estetica, è chiaro che tutti vorrebbero sempre il bello e buono, io ho sempre preferito ricercare la massima espressione gustativa.
Cosa cambia nella cucina e nella mente dello chef con la prima stella?
Dal giorno dopo l’assegnazione della stella abbiamo avuto un aumento incredibile delle prenotazioni. È stato un fatto molto positivo, per quanto riguarda la concezione è importante mantenere la coerenza di un luogo e di un certo tipo di cucina, perché è grazie a quella linea di pensiero che la stella è arrivata.
È cambiata quindi anche la clientela con la Stella?
Quando ho aperto il Danilo Ciavattini Ristorante avevo l’obiettivo di cucinare per la gente del luogo e sapevo che dovevo indirizzarmi verso la gente del posto. La base è stata quella e ho avuto un riscontro positivo, ci sono molti clienti della zona poi ovviamente man mano che il ristorante cresce inizia a variare anche la clientela, con turisti o gente semplicemente di passaggio.
Uno chef per ideare i suoi piatti parte da ciò che pensa possa piacere alla gente oppure dai propri gusti personali?
A me piace lavorare con quello a cui sono affezionato, quindi lavoro in base al mio gusto e cerco di presentare il piatto il più fedelmente possibile alla mia idea di cucina.
Per le foto si ringrazia Videosolution.it