Kotaro Noda. Tokyo Roma a/r, con tappa a Viterbo – L’intervista
Si corre il rischio di smarrirsi nel racconto della storia di Notaro Koda.
La sua vita ha viaggiato in parallelo, inevitabilmente, con la sua professione; una professione che dal Giappone lo ha condotto in Europa, dove la curiosità per la cucina italiana lo ha portato a lavorare al fianco dei grandi nomi della gastronomia del Bel paese.
La stella di Viterbo
È stato nelle cucine di Gualtiero Marchesi, ha avuto Enrico Crippa come maestro prima di trasferirsi a Firenze all’Enoteca Pinchiorri e a Viterbo presso l’Enoteca La Torre, locale dove ha portato una storica, per il territorio e la città, stella Michelin.
E proprio parlando della sua esperienza viterbese Kotaro Noda si emoziona, ricordando quel periodo come uno dei più importanti, sia dal punto di vista intimamente personale che formativo, della sua vita.
“Io mi sento viterbese e amo la Tuscia, terra ricca di prodotti di qualità e grandi materie prime” racconta lo chef, in collegamento Skype direttamente da Tokyo, dove da un paio d’anni guida anche le cucine del ristorante Faro, locale in cui ha avviato una proposta completamente vegana e di ispirazione italiana.
Kotaro Noda, un giapponese a Roma
Kotaro, membro di Ambasciatori del Gusto, però è anche socio proprietario del Bistrot64 di Roma, locale da una stella Michelin, a due passi dal MAXXI, caratterizzato da una proposta gastronomica snella (ma non banale) e riconoscibile.

Bistrot64 -Finger Food, da destra: Flan di cicoria, crema d’aglio e cialda di pasta ; Cialda di amaranto, mela marinata con cavolo viola; Finto maki di alga nori, cavolo fermentato e rafano; Cialda di riso venere, curry e cavolfiore; Cazette di nocciola glassata al peperone rosso
Un ristorante in cui, per i prezzi contenuti dei menu, anche i giovani hanno la possibilità di potersi avvicinare a un tipo di cucina che troppo di frequente, e spesso erroneamente, mette eccessiva soggezione: quella stellata.
Bistrot64 è un locale dove l’inevitabile contaminazione giapponese si riscontra a tavola (immancabili gli origami, realizzati quotidianamente dalla restaurant manager Hiromi Nakayama) come nel piatto. Dopotutto il menu è ideato e studiato a quattro mani da Kotaro e dal suo sous chef Takuya Sato (formatosi nelle cucine di Reale di Niko Romito), anch’esso giapponese e conoscitore della nostra cucina e delle materie prime italiane. Pur da Tokyo, comunque, nulla di ciò che accade al ristorante sfugge all’occhio sempre vigile di Kotaro.
La sua storia e la sua filosofia, assieme all’amore per la cucina italiana, però ce la facciamo raccontare direttamente da lui.
Kotaro Noda, l’intervista
Kotaro, tu da tempo ormai sei a Tokyo, testimone diretto della situazione Giapponese post lockdown. Come ha reagito il mondo della ristorazione nipponica alla recente crisi?
Ci sono alcune similitudini con l’Italia. Tokyo è una città che punta sul turismo quindi anche qui come da voi per ora la situazione è un po’ bloccata. Di base cambia che a Tokyo, essendoci 20 milioni di cittadini, ovviamente il flusso delle persone locali è maggiore rispetto per esempio a Roma. Bisogna dire che dopo il lockdown c’è stata una maggiore selezione dei locali da parte delle persone: chi fino a ieri lavorava bene continua a lavorare, diverso il discorso per chi ha lavorato con proposte, sia di prezzo che di qualità, fuori mercato.
In Italia in molti hanno timore ad andare al ristorante, in Giappone?
Finita la quarantena la gente aveva voglia di uscire, però ho notato che in tanti lo facevano con la tensione, un po’ timorosi di questa situazione nuova.
Parlando di te: hai una laurea in marketing, come ti sei avvicinato alla cucina?
Mi sono laureato più che altro per dare una soddisfazione ai miei genitori. Al tempo ancora non sapevo bene cosa voler fare e sono andato all’Università per schiarirmi le idee. A 20 anni ho capito di voler fare questo mestiere però alla fine ho proseguito gli studi soprattutto per compiacere i miei genitori. Poi ho seguito la mia passione e dopo alcune esperienze qui sono partito per l’Europa e arrivato in Italia.
Come è stato il tuo approccio alla nostra cucina? La conoscevi già al tuo arrivo in Italia o è stata una scoperta totale?
È stato tutto nuovo. Dopo alcuni viaggi in Europa, in cui sono entrato in contatto con la vostra cucina, ho deciso di volermi dedicare alla proposta italiana. Mi ha colpito la semplicità e la bontà di una cucina tanto varia e variegata, con una grande attenzione alle materie prime.
Ci sono dei punti in comune tra la cucina giapponese e quella italiana?
In entrambi i paesi si punta molto sulla stagionalità e sui prodotti locali. In molti aspetti sono due cucine abbastanza simili, seppur con condimenti e tecniche di cottura diverse.
E pensi che la cucina italiana in Giappone sia adeguatamente conosciuta?
Quando la cucina italiana iniziò a farsi largo in Giappone c’era mancanza di materia prima, che veniva sostituita con quello che si trovava qui. Questo sicuramente non ha contribuito a diffondere la vera cucina italiana, poi col passare del tempo è stato aggiustato il tiro sebbene anche oggi la cucina risulta un po’ contaminata. In Giappone ora però si trova molta materia prima italiana quindi tanti chef, con esperienza in Italia, negli ultimi anni si sono dedicati a proporre un’offerta quanto più coerente possibile. Paradossalmente è la cucina locale che sta scomparendo.
Sei uno dei pochi stranieri a essere stato nominato Ambasciatore del Gusto della cucina italiana, che effetto ti fa?
Sono onorato e felicissimo di fare parte di questa associazione. Rappresento il vostro Paese e la vostra cultura pur essendo straniero, ma sono innamorato della vostra gastronomia, ne sono un appassionato e promotore diretto. Quindi è un vero orgoglio considerando che siamo davvero pochi gli stranieri membri di un’associazione che ha come scopo la diffusione della cucina italiana di qualità nel mondo.

Bistrot64 – Petto e paté di anatra
Ci parli del tuo ristorante romano, il Bistrot64?
È un tipo di ristorante che rispecchia i miei gusti: deve essere prima di tutto un locale nel quale prima di tutto deve piacere a me voler andare. Di base è italiano ma con un tocco orientale. Essendo giapponese poi la vostra tradizione per me è innovazione, perché è un qualcosa che non conoscevo e che scopro ogni volta. Dopo la riapertura, fortunatamente, c’è stata una buona risposta di clienti, specialmente ora che stanno tornano alcuni turisti. Rispetto a prima siamo aperti sette giorni su sette per “recuperare” il tempo perso.
Come hai detto al Bistrot c’è una proposta contaminata. La cucina contemporanea secondo te può prescindere dalla mescolanza di più culture gastronomiche?
Bisogna partire dal presupposto che anche quella che oggi consideriamo cucina tradizionale in realtà è frutto di antiche contaminazioni. Pensiamo al pomodoro che viene dall’America, alla pasta asciutta che proviene dal mondo arabo: materie che sono alla base della cucina italiana ora ma che sono state importate. Secondo me la contaminazione è costante, soprattutto perché oggi più che mai c’è mescolanza di culture a livello sociale. Il mondo ormai è globalizzato e questo influenza anche la cucina. E io sono assolutamente a favore di questo aspetto. L’importante però è che si conosca la storia della cucina di un Paese e solo dopo averla appresa attraverso lo studio posso andare a “ritoccarla” o “modificarla” secondo quelle che sono le inclinazioni di ognuno.
Da giornalista di origini viterbesi non posso non farti questa domanda. Come ricordi la tua esperienza a Viterbo e che cosa hai appreso dal lavoro all’Enoteca La Torre?
Io ho una grande nostalgia di Viterbo e del territorio viterbese, lo ricordo con grande affetto. Sono arrivato nel 2004 e all’inizio, conoscendo poco della cucina italiana e ancor di meno della cucina del territorio, lavoravo in modo sbagliato, pur convinto di fare una cucina italiana. Carlo Zucchetti (al tempo uno dei proprietari dell’Enoteca la Torre, ndr) mi ha insegnato tanto: cosa significa cucinare bene, come usare materia prima viterbese. Con lui sono cresciuto e alla fine ho capito cosa non posso fare e cosa devo fare. Il fatto di aver ereditato la cucina di uno chef viterbese doc inoltre mi ha sicuramente messo sulla strada giusta. Ho davvero cambiato mentalità durante quel periodo, raccogliendo un bagaglio di conoscenze che ancora mi porto dietro. Posso dire con grande orgoglio di essere viterbese.

Bistrot64 – Spaghetti di patate
Per chiudere, un piatto o un ingrediente che più ti ha colpito del territorio della Tuscia o che ancora usi?
L’acquacotta sicuramente è un piatto della tradizione che mi è rimasto impresso. Ricordo poi la qualità di nocciole, tartufi, olio d’oliva, legumi e castagne: materie prime speciali che mi hanno colpito molto e che, come l’olio, viene utilizzato anche al Bistrot64. Per non parlare delle patate, che utilizzo per creare uno dei piatti simbolo del Bistrot: lo spaghetto di patate, La Tuscia è davvero un territorio ricco dal punto di vista gastronomico.
Foto di: OfficinaVisiva. Servizio dal Bistrot64
Foto in evidenza: cortesia dell’ufficio stampa del Bistrot64
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