“La Tuscia a modo mio” – Al Danilo Ciavattini Ristorante nuovo menu autunnale
Quella di Danilo Ciavattini è una cucina sempre più matura e consapevole, che vuole rispecchiare il territorio ma non attenersi alla tradizione intesa nel senso stretto, forse limitativo e fin troppo semplicistico, del termine.
Lo chef usa la tradizione come trampolino di lancio verso una proposta che sembra migliorare di anno in anno. Una proposta in continua evoluzione grazie anche alla capacità critica, e autocritica, di uno chef che non considera mai “definitivo” il piatto al tavolo, ma rimane sempre aperto a nuovi cambiamenti, aggiustamenti, modifiche.
Il menu del Ciavattini Ristorante cambia volto, colori e sapori con l’offerta autunnale che entra sia in carta che nel menu degustazione. A non mutare è il filo rosso che collega i piatti, il leitmotiv della cucina dello chef, fatta di ingredienti del territorio che replicano sul piatto il sapore della Tuscia.
Ecco, se questo territorio immerso nella provincia di Viterbo avesse sapore, questo sarebbe quello racchiuso nell’offerta culinaria dello chef Ciavattini che, da ormai due anni, mantiene la stella Michelin e le due Forchette della guida del Gambero Rosso.
Il paradosso di tutta questa storia? A Viterbo non tutti sono consapevoli che, nel bel mezzo del centro storico della città, c’è uno dei ristoranti migliori e dalla grande identità territoriale della zona. Dove, attenzione, nel clima rilassato e sereno di sale minimali, magari accompagnati in sottofondo dalla musica di Morricone, ci si può concedere un menu degustazione anche spendendo 35€.
Da qualche giorno la proposta autunnale è entrata in pianta stabile nel Ciavattini Ristorante ed è stato direttamente lo chef, con una colloquiale quanto gradita chiacchierata, a spiegare cosa l’ha portato a ideare e realizzare i nuovi piatti che da qui al prossimo cambio menu (dicembre/gennaio) si possono trovare.
Un consiglio? La trippa in bianco con pecorino, pere e cavolfiore.
Chef, parlaci di questo nuovo menu: quanto ci hai messo a idearlo?
Ci ho lavorato su, per quanto riguarda l’ideazione, una 20ina di giorni e ho cercato comunque di mantenere un’offerta variegata, tra piatti vegetariani, di pesce e di carne. L’ho inserito già da qualche giorno e per ora devo dire che sta andando bene, è molto apprezzato dai clienti.
Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno hai cambiato qualcosa nel menu autunnale?
Ci sono alcuni piatti che rimangono tali, perché comunque li faccio da anni e li ripropongo con regolarità anche perché è il cliente stesso che li cerca. Per esempio in questo menu ho riproposto il maialino in tempura con gelato di acciughe, che era una ricetta che facevo appena aperto, nel 2017, ma che già eseguivo da anni anche nelle mie esperienze precedenti. Ovviamente i grandi classici devono essere inseriti e ruotati, ma ciò non toglie che mi piace anche dar spazio a proposte nuove e inedite. Penso sia importante non fossilizzarsi troppo su quanto già fatto in precedenza, altrimenti c’è il rischio di non creare più nulla di nuovo.
C’è pericolo di affezionarsi a un piatto e provare quasi del dispiacere nel toglierlo?
Assolutamente sì, anche perché se un piatto piace è ancora più difficile decidere di toglierlo. Il cliente comunque quando va a mangiare in un ristorante si aspetta dei piatti che sono grandi classici e quindi bisogna comunque tenere sempre in considerazione quell’aspetto, ma allo stesso tempo bisogna anche pensare al proprio processo creativo, e a nuovi piatti che vengono ideati e creati che poi, magari, col tempo diventeranno a loro volta grandi classici. È come quando vai al concerto di una band che ti piace: aspetti sempre con più trepidazione le canzoni storiche che quelle nuove.
Quindi quali novità abbiamo in questo menu autunnale?
Ho voluto riproporre il maialino in tempura, poi c’è l’agnolotto di cinghiale con una polvere di nocciola e cacao e un fondo di arancia e alloro. È un piatto che già ha iniziato a “carburare”, ho trovato un ottimo riscontro da parte dei clienti. Tra gli antipasti troviamo una tartare di manzo mentre tra i primi anche un risotto rapa rossa mandarino e zafferano. Ho cambiato un po’ i connotati dei paccheri che già proponevo, mettendoci anche una crema di broccolo romano. Tra le novità una trippa in versione completamente bianca, una veste un po’ inedita se consideriamo che nel nostro territorio è un piatto che spesso si accompagna al pomodoro. Tra i dessert ho inserito invece Il Nido, un rosso d’uovo coagulato nell’alcool e bagnato nel marsala e poggiato su una ganache di cioccolato e crema di marroni. Un piatto che mi fa ricordare quando, da piccolo, mia nonna alla mattina di preparava lo zabaione per colazione.
Tu sei molto legato a questa terra. Quali sono i prodotti che in autunno si trovano maggiormente e che tu usi?
Ora stanno uscendo molte erbe aromatiche. Questo è periodo dei funghi, in particolar modo dei galletti, con cui faccio la patata interrata, ma anche porcini e qualche ovulo. Si trovano poi castagne, nocciole, ma anche cavolfiori e broccoli romani. Ho in mente di creare pure una proposta dedicata interamente al tartufo bianco: antipasto, primo, secondo e dolce a base di questo prodotto.
Da quanto hai iniziato a lavorare con questi ingredienti, ti senti un po’ cambiato, più maturo e consapevole, nell’utilizzo degli stessi?
Assolutamente sì. Ho fatto più mio il concetto di entrare in un territorio, lasciando da parte il lato più “modaiolo” che può portare a farti considerare più importante della cucina. La cucina secondo me va messa in primo piano: non è fondamentale la tecnica, il barocchismo, specialmente se è fine a se stesso e più funzionale all’estetica che al gusto. Il giudizio finale deve essere dato dal palato, non dall’occhio; per quanto l’estetica può essere importante si rischia di commettere l’errore di volersi dedicare troppo alla bellezza di una preparazione, danneggiando il lato prettamente gustativo. Questo concetto l’ho imparato con il passare del tempo e ovviamente con l’esperienza.
In fase di ideazione di nuovi piatti fai tutto da solo o ti lasci aiutare, consigliare, dal tuo sous o dai tuoi assistenti e personale di sala?
Il piatto prima di tutto deve piacere a me, quindi tutte le fasi, da quella ideativa a quella realizzativa, le eseguo io. Tuttavia è importante tenersi sempre aperto a cambiamenti o modifiche: non bisogna pensare che un piatto sia finito, definitivo e terminato, anzi è necessario sempre trovare qualcosa che non va: è questo l’unico modo che conosco per crescere ed evolvermi in cucina.
In questo territorio pensi ci sia un ingrediente sottovalutato, che viene poco valorizzato?
Tutti i prodotti hanno potenzialità impressionanti, partendo dalla cosa che sembra più scontata e semplice. Sta a me, o a noi chef comunque, riuscire a tirarci fuori il massimo. Per esempio le giuggiole di per sé non hanno un grande sapore, eppure dentro hanno un nocciolo con un retrogusto di amaretto che emerge se questo viene messo in infusione. Io quindi l’ho inserito nel fondo di agnello per dargli questa sferzata di sapore.
Per chiudere, c’è pericolo che, rimanendo così fedele al territorio e alla tradizione gastronomica del posto, si rischia di rimanere in qualche modo troppo vincolati da questi “lacci”?
C’è sempre modo di aggiornare e valorizzare un piatto che nasce in un dato territorio. La limitazione non esiste in cucina, tutto può essere spunto utile per nuove preparazioni o proposte, pur rispettando la materia prima e le sue caratteristiche. In cucina, con ogni ingrediente, si può fare davvero di tutto. Importante è non snaturare i prodotti con i quali ti trovi a lavorare, mantenendo la loro identità e soprattutto sapore. Fondamentale, poi, secondo me è non cercare di imitare gli altri ma essere sempre originali. Anche per questo cerco di guardare meno ricette possibili sui libri o su internet, per non rimanere influenzato da preparazioni che hanno fatto altri prima di me. È in questo modo che, credo, la creatività verrebbe in qualche modo limitata.
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