Paolo Trippini ristorante: è qui l’Umbria da gustare – Intervista
Tartufi, funghi, selvaggina, radici ma non solo. I sapori della regione si manifestano più decisi che mai in questa parte dell’anno: nel pieno di un autunno che qui chiamano “la primavera umbra”.
Ci troviamo a Civitella Del Lago (Terni), piccolo paese di poche centinaia di anime a quasi 500 metri sul livello del mare, che affaccia sul lago di Corbara e che disperde la vista su un orizzonte in cui si stagliano, da una parte, il monte Cimino, dall’altra il monte Amiata.
In mezzo fanno timidamente capolino il colle di Montefiascone e la rupe di Civita di Bagnoregio, a testimonianza di come da qui si getti lo sguardo in modo unico anche su panorami di Lazio e Toscana.
A due passi dalla piazza del paese sorge il ristorante Trippini, locale gestito da Paolo (giovane rappresentate della terza generazione famigliare) e che nella zona è tra i più storici e conosciuti. E lo chef la trasformazione del ristorante l’ha conosciuta in prima persona, subìta, guidata e testimoniata, crescendo ed evolvendosi di pari passo con lui.
Paolo, ancora piccolino, c’era quando suo nonno già da qualche stagione armeggiava tra i fornelli trattando ingredienti e materie prime locali, servendole ai clienti che affollavano la trattoria. Poi il cambio, drastico, voluto dal padre all’inizio degli anni 90: non più un ristorante tipico ma un locale gourmet, che trattasse anche prodotti provenienti da molto lontano. Paolo c’era ancora, stavolta più consapevole e sicuro che la cucina sarebbe stata la sua strada.
Fino al 2006 quando, diventando responsabile e chef, ha deciso di mantenere alto e ambizioso il livello qualitativo del ristorante pur tornando a trattare materie prime del territorio. Dopo tutto chi meglio di un umbro verace come Paolo, che tra questi sapori, odori e ingredienti ci è cresciuto, può come un abile alchimista mescolare, unire e sperimentare le materie prime di “casa sua“, alla ricerca di nuove combinazioni di sapori.
Perché il processo creativo, come spiega Paolo stesso, non si ferma mai, neppure in un momento così incerto come quello attuale.
L’incontro con lo chef è avvenuto nella sala del suo ristorante e a pochi giorni dall’ingresso nell’associazione Ambasciatori del Gusto. Proprio da qui siamo partiti nella nostra chiacchierata e nel nostro viaggio attraverso l’Umbria da gustare.
Paolo, partiamo dal tuo ingresso nell’associazione Ambasciatori del Gusto. Cosa ti ha spinto a farne parte? Il fatto che tu sia l’unico chef umbro ti “responsabilizza”?
Per me è stato un grande orgoglio poter entrare nell’associazione, era già un paio d’anni che progettavo di farlo e finalmente mi sono deciso. Un po’ di responsabilità nell’essere l’unico membro umbro c’è, ma sono anche molto orgoglioso di questo: poter rappresentare la mia regione in un’associazione come ADG, che si fa promotrice di attività di valorizzazione della cucina italiana, è veramente un onore. Essere rappresentante della gastronomia umbra è una grande responsabilità ma me la prendo volentieri perché amo la mia regione.
Questo periodo, tra funghi, tartufi, radici, carni, è forse il migliore per assaporare i veri sapori dell’Umbria?
Assolutamente sì, non a caso l’autunno la definiamo la “primavera umbra” e nel tempo anche al ristorante abbiamo trovato una giusta quadra in questa stagione. Tra funghi, tartufi, selvaggina come dicevi è il periodo migliore per trattare e valorizzare le materie prime di una regione che, nonostante sia piccola, ha comunque molto da offrire. Cito per esempio i legumi, parte importante della cucina regionale, con specialità come i fagiolini del Trasimeno e le lenticchie di Castelluccio di Norcia. Poi sicuramente merita considerazione tutto ciò che riguarda formaggi e salumi.
Siamo in un locale storico, nato come trattoria a metà degli anni 60 e trasformatosi nel tempo. Come hai vissuto la sua evoluzione e come è evoluto il tuo concetto di cucina qui dentro?
Rappresento la terza generazione di un ristorante che esiste da 60 anni e che è sempre stato qui. Quando sono diventato chef, nel 2006 a 27 anni, la responsabilità si era fatta molto sentire anche perché mio padre aveva cambiato la tipologia di cucina; non più da trattoria ma sempre più vicina a quella di un ristorante gourmet. Il mio è stato un percorso lungo: nei primi anni qui sono stato seguito molto da papà che, quando uscivo un po’ troppo dagli schemi, mi rimetteva sulla retta via. Inizialmente ci sono stati un po’ di “scontri“, poi con il tempo ho capito cosa voleva dirmi e ho raggiunto una maggiore maturità, riuscendo ad applicare le mie idee di cucina nell’utilizzo di prodotti locali umbri.
Da cosa è nato il cambiamento della “natura” del ristorante?
Il cambiamento da trattoria a gourmet è stato quasi un’esigenza di marketing. A inizio anni novanta qui nella zona del lago c’erano tante trattorie, molte delle quali simili tra loro nell’offerta gastronomica e nel tipo di locale. Mio padre, per differenziare il nostro ristorante, ha optato per un cambio di passo cercando di elevare il tipo di cucina, sperimentando e iniziando a fare anche ricerca di prodotti non necessariamente locali. Tanto che iniziammo a trattare materie prime particolari, ricordo l’agnello della Nuova Zelanda, lo struzzo, il foie gras … La mia carriera è partita proprio da qui, dallo studio di ciò che era esterno alla regione per capire ciò che c’è fuori dall’Umbria. Al termine di questo percorso, però, io sono tornato a trattare prodotti del territorio e della tradizione, con tecniche non più da trattoria ma mantenendo lo stile adottato da mio padre.
Parlando del momento attuale, c’è il rischio che in mezzo a tanta incertezza il processo creativo di uno chef possa risentirne?
Fortunatamente qui siamo abbastanza focalizzati, il periodo di difficoltà è stato un po’ alla riapertura tra maggio e giugno perché noi storicamente lavoriamo con molti stranieri e il blocco del turismo sicuramente non ha aiutato. Siamo ripartiti con mille paure e dubbi ma, dopo i primi giorni di assestamento, siamo tornati a lavorare tantissimo con la gente del luogo, con molti che magari abitano in zona ma che nemmeno ci conoscevano. È stato molto stimolante anche perché, forse per la prima volta, abbiamo lavorato con una clientela diversa da quella alla quale eravamo abituati. Tanti si sono mostrati disposti ad assaggiare qualcosa di diverso, a conoscere nuovi piatti e fare un’esperienza differente.
Ora vi muoverete con il delivery?
Abbiamo iniziato a consegnare dei kit con prodotti da rigenerare a casa e che potranno poi essere assemblati direttamente dai clienti. Tra le varie proposte ci saranno piatti che realizziamo anche qui al ristorante, per esempio baccalà con crema di broccolo romano e amarene, quaglia con frutti rossi e ricotta, tra le paste lombrichelli al tartufo poi gnocchi di patate con ricotta e menta. Ci stiamo organizzando anche per spedire e una volta a settimana lavoreremo su Roma.
Per chiudere, c’è un ingrediente nel tuo menu al quale tieni particolarmente e che non può mai mancare in cucina?
La ricotta, qualcosa che mi piace molto e che ricerco tantissimo tra i produttori della zona. Un ingrediente che è sempre in menu e che declino in svariati modi, dall’entrée al dessert. Non ho ricordi particolari sulla ricotta, ma è qualcosa legata al mio passato, quando ero fidanzato con una ragazza il cui padre faceva i formaggi e, da lì, mi sono innamorato di questo ingrediente.
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