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Cibo Selvaggio: il passato più ancestrale diventa il futuro più sostenibile

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È questo il messaggio trasmesso dagli chef presenti a Cibo Selvaggio, l’evento dedicato alla cucina di caccia d’autore. Quattro show cooking degli chef Lucio Pompili, Giulio Gigli, Paolo Trippini e Giorgione per quattro visioni differenti di cucina di caccia ed un’unica parola chiave che invece le lega profondamente: Rispetto. Per l’animale, per l’ambiente e per la cultura gastronomica più identitaria di un territorio. 

Parte dall’Umbria l’idea di dare vita ad un evento esclusivamente dedicato alla Cucina di Caccia d’Autore e sdoganare la cacciagione da pregiudizio e ipocrisia. Un focus sul cibo cacciato e sul cibo raccolto, con un format che si sviluppa durante tutto l’anno attraverso dibattiti, attività di formazione con le scuole e momenti di confronto con gli attori istituzionali e non, sulle filiere di carne selvatica, per poi sfociare nell’ambito della manifestazione Caccia Village, in una giornata interamente dedicata agli show cooking degli chef più “wild” del panorama italiano. 

Un evento di cucina con un approccio divulgativo, dove gli show cooking non sono solo spettacolo e divertimento, ma occasioni in cui gli chef di trasmettono un messaggio attraverso la propria visione sul cibo selvaggio. Uno show cooking in cui far scoprire al pubblico una nuova possibile filiera e confrontarsi senza pregiudizi su una cucina di caccia che parla di rispetto e di natura e che porta in tavola proteine nobili, sane, gustose e prive di grassi. 

Il tutto con un linguaggio moderno per rendere contemporanea la cacciagione, troppo spesso relegata a cucina arcaica del passato, bisognosa di lunghe cotture, di marinature e che invece oggi, grazie ad una nuova generazione di chef e tecniche innovative, può essere proposta in maniera moderna e può entrare facilmente nella dieta alimentare di tutti, apportando benefici nutrizionali di altissima importanza. 

Un focus importante sulle filiere di carne selvatica, non solo come filiere che guardano al benessere dell’animale lasciato libero di vivere nel suo ambiente naturale senza innesti dell’uomo, ma anche come espressione dell’identità culinaria e volano di sviluppo di microeconomia per i territori più rurali. 

Ospiti di questa prima edizione, dopo il lancio del Manifesto del Cibo Selvaggio dello scorso anno, gli chef Lucio Pompili, Giulio Gigli e Paolo Trippini, sotto il cappello autorevole di Igles Corelli, chef ambassador 2023. 

**Ma cosa significa Cibo Selvaggio? **

Lucio Pompili, lo chef cacciatore per antonomasia, parla di cibo originale, di cibo della natura che sia esso vegetale come funghi, tuberi, radici o erbe spontanee, o animale come la carne o il pesce e parla del “cacciare” il cibo, inteso come andarlo a cercare e prelevarlo, come modo che l’uomo ha per procurarselo in maniera spontanea, senza allevarlo o coltivarlo. E procurarsi il cibo in base al proprio fabbisogno, senza scorte eccessive destinate molto spesso allo spreco, è sicuramente un modo etico e sostenibile di sostentamento. 

Cucina selvaggia per l’umbro Paolo Trippini è cucina del bosco. Abituato a raccogliere dai boschi sopra il lago di Corbara i pregiati frutti che la natura offre e ai quali ha dedicato uno dei piatti che segna la cifra del suo stile, Bosco Umbro, lo chef da sempre promuove l’utilizzo della carne selvatica, contestualizzandola, nelle sue preparazioni, all’habitat da cui proviene. Ecco quindi che le bacche, i germogli le gemme degli arbusti, le erbe, i funghi e certi tipi di frutta di cui daini e caprioli si cibano, diventano parte integrante dei piatti di cacciagione dello chef Trippini, per una cucina che sprigiona in modo circolare tutta l’essenza della natura. 

Giulio Gigli chef patron di UNE, si fa portavoce di un messaggio ben preciso: le tradizioni come via per il progresso e la cucina selvaggia come il “passato” che diventa futuro. Essere uno chef oggi è un atto culturale in cui intervengono i valori del rispetto della materia prima e la responsabilità di essere custodi di una cultura gastronomica che tocca a noi raccontare. Poche sofisticazioni, soprattutto quando parliamo di filiere cortissime che arrivano dai territori circostanti ed esaltazione del tratto identitario del cibo che mangiamo.