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Borgobrufa (Perugia) si illumina della stella di Elementi

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Elementi. Perché è di elementi, intesi come pura materia prima, che è fatta la cucina. Ma anche “e le menti”, perché per fare una buona cucina non basta un bravo chef, ma un team al suo fianco che possa supportarlo tanto nel processo creativo quanto in quello materialmente esecutivo.

Per varie vicissitudini, e quasi senza nemmeno farci caso, mancavo da uno stellato da oltre un anno, quindi l’ora era matura per tornare a visitare un ristorante insignito del macaron targato Michelin. Che dire: il contesto è quello meraviglioso di Borgobrufa, enorme resort alle porte di Perugia. Lo chef Andrea Impero è giovane, propositivo, attivo e con un solido pensiero dietro al suo lavoro. Espresso tanto a parole quanto in cucina. Sicuro il giusto della sua idea, non sarebbe così dopotutto considerando come proponga tra gli entrée un “pane e salame”, quasi sfidando la considerazione comune di come negli stellati si mangino “cose strane“. Ma andiamo con ordine.

Eccolo qui, allora, Elementi, un nome che nasconde in sé due significati racchiusi in un universo semantico. Ma prima di iniziare a parlare di cucina e del ristorante (entrato nell’ultima edizione della Guida Michelin, tra i locali “complici” della recente deflagrazione dell’Umbria nell’ambito del fine dining) contestualizziamo il tutto. Siamo alle porte di Brufa, piccolo borgo in provincia di Perugia raggiungibile tramite una deviazione di una decina di minuti dall’E45. Borgobrufa è un resort 5 stelle dotato della spa più grande della Regione. Nato come agriturismo una ventina di anni fa, in nemmeno due decenni è diventata un’enorme struttura ricettiva tra le colline umbre, con vista su Assisi e Perugia. Una costruzione così grande che alla reception all’ospite viene consegnata anche una mappa del complesso, che oltre alla zona benessere conta 49 camere e due ristoranti, entrambi in guida Michelin. Uno, Quattro Sensi, segnalato, l’altro, Elementi, stellato. 

E proprio Elementi ha recentemente inaugurato i suoi due nuovi menu: Visione ed Ispirazione. Menu ai quali lo chef Andrea Impero (ciociaro di nascita, ormai umbro d’adozione) ha lavorato negli ultimi 2-3 mesi assieme alla sua brigata (elementi di cucina, e le menti di lavoro) per poter coronare al meglio la recente Stella assegnata dalla guida per eccellenza, cominciando un nuovo percorso “illuminato” da altrettanto nuovi riflettori.

Mi avevano informato della proposta libera e fluida di cui si fa portavoce lo chef, uno che non si lega al concetto tradizionale di antipasti, primi e secondi nei sensi più classici e familiari dei termini. Effettivamente è così: il percorso tracciato da Impero (che considera il territorio non limitatamente all’Umbria o al perugino, ma coinvolge produttori del Centro Italia spaziando dalla Toscana al Lazio) assomiglia al gioco delle tre carte, quello in cui quando pensi di aver individuato dove si nasconde l’asso ecco che vieni beffato, con Andrea che lo mostra alzando, sornione, la carta accanto. Il percorso degustazione è un po’ così, in grado di spiazzare, e al contempo sorprendere. Perché magari portate come una carpa in porchetta o una sorta di spezzatino di cinghiale accompagnato dalla roveja (antico legume umbro recuperato) te le aspetteresti come “secondi”, invece di fatto arrivano praticamente subito.

Ed ecco poi quella che quella che si considererebbe comunemente una sorta di entreè, una pizzetta sfogliata, servita tra una portata e l’altra. “Intermezzo”, viene chiamata, come i pop corn all’intervallo di un film al cinema. Salviettina umidificata per le mani, e si riparte.

L’inedito viaggio continua: quando pensi di essere arrivato alle soglie del dessert, e dopo aver mangiato un piccione spaziale (e, per l’occasione, sezionato e sporzionato direttamente in sala dallo chef), viene servito un primo che primo non è: a tavola ecco gli spaghetti con una spolverizzata di pecorino e tanta cipolla di Cannara, al punto che dolce, quel piatto (accompagnato da un piacevole vermouth e soda), lo diventa davvero. E dopo la pasta? Ecco il carrello dei formaggi, accompagnati da un calice di birra, e a seguire uovo sbattuto a mo’ di zabaione (con biscottini al caffè) prima del dolce vero e proprio, una crescionda (dolce tipico del territorio spoletino) in tre varianti: secondo una ricetta medievale (rivisitata e riadattata), contemporanea e “del futuro”, senza l’utilizzo di allergeni e con farina di cocco. A chiusura del tutto servito un infuso a base di un mix di tè neri e spezie indiane. Bevanda non indicata proprio a tutti, specialmente chi dopo cena potrebbe avere il sonno “disturbato” da un’eccessiva botta di teina.