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Da Roma ad Alicante: Alba Restaurante, una “luce” sulla costa

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Proprio quando mi stavo rassegnando per quanto riguarda il cibo ad Alicante, ecco che come un’oasi nel deserto compare un’insegna, una luce nel buio: Alba Restaurante.

Non esagero, dopo giorni in cui ho mandato giù (metaforicamente e letteralmente) più delusioni che piatti che mi hanno colpito (l’offerta gastronomica era davvero povera), dopo una camminata di una 15ina di minuti dal centro arrivo a un ristorante che mi aveva consigliato direttamente dall’Italia una persona fidata. Un locale al quale probabilmente non sarei mai giunto senza questa dritta, perché leggermente dislocato rispetto a dove fossi di base e in cui ero “circondato” da indirizzi per lo più turistici.

Alba Restaurante è stato aperto circa 3 anni fa da Alba Esteve Ruiz (assieme al compagno e maitre Michel), chef originaria della zona alicantina con alle spalle un’importante esperienza a Roma nelle cucine di Marzapane. Esperienza, col senno di poi, direi quasi salvifica considerata l’ottima, originale, proposta. Ottima offerta, a mio parere, perché non legata strettamente alla gastronomia di qui ma figlia di un mix che nasce sull’asse Città Eterna-Costa Valenciana.

Da Alba la cucina non è spagnola in senso stretto tantomeno italiana in senso altrettanto stretto. Ma nonostante ciò è una cucina dalla forte identità: personale, personalizzata e originale. Una rotta a sé, una cucina che abbraccia due Paesi, che prende il buono da entrambi, ma da cui al contempo se ne discosta per creare qualcosa di nuovo. 

Si tratta di una cucina poco inquadrabile per certi versi, ma che sa perfettamente ciò che vuole essere e che alla fine riesce ad esserlo. In modo consapevole, coerente con la propria storia, tra origini e trascorsi. Una cucina ‘de core’, per ricordare i 13 anni spesi a Roma e riportati, inevitabilmente, poi in patria. Una cucina “de corazon”, perché allo stesso modo l’anima spagnoleggiante rimane (tra materie prime e preparazioni), seducente e al contempo sedotta in un flamenco continuo con il passato romano. 

Il piatto più esemplificativo? Un montadito, quasi un maritozzo, ripieno di porchetta, alice del Cantabrico e un formaggio fresco al tartufo realizzato nella zona centrale della Spagna. Ma anche un piatto storico della chef, nato a Roma ormai 11 anni fa e riportato con successo ad Alicante, fisso in menu: gambero, burrata e chips di pistacchi. 

Daje”, direbbe qualcuno. “Dale”, direbbe qualcun altro.

Due chiacchiere con Alba Esteve Ruiz

***Alba, tu come definisci qui la tua cucina? ***

È un po’ un mix di Spagna e Italia, come normale che sia data la mia esperienza e i miei trascorsi. Per la gente di qui dai la possibilità di mangiare alla loro maniera, condividendo i piatti, ma anche per mangiarli secondo un’ottica più “italiana”, schematica per certi versi. Poi ovviamente con il menu degustazione c’è la possibilità di assaggiare un pochino tutto, o comunque una selezione di piatti. Quasi tutti i tavoli numerosi optano per il degustazione. 

Sicuramente un italiano, abituato alla classificazione delle portate tra antipasti, primi e secondi, può sentirsi un po’ smarrito di fronte a una maggiore ‘libertà’ come qui in Spagna…

Qua la concezione è completamente diversa, qui è raro lo schema antipasto, primo e secondo, come in Italia. Non funziona così, qui quasi tutto va al centro, sempre, condiviso, così da assaggiare più di qualcosa. 

Qui ti porti dietro l’esperienza di Roma. Per esempio c’è un piatto che proponi da 11 anni ormai: gambero, burrata e chips di pistacchio…

Sì, dal 2013. Dall’esperienza a Roma, durata 13 anni, mi porto tanto, alla fine io mi sento 50% spagnola e 50% italiana, se non proprio romana. Allo stesso modo, però, anche quando ero a Roma mantenevo le mie radici spagnole, la mia identità, ho sempre cercato di trovare il giusto mix tra le due cucine, le due culture. Sono parte di me, non le posso togliere e le esprimo tramite i miei piatti.

E anche in virtù di ciò, della natura della tua cucina un po’ inedita per qui, come ricordi il primo periodo di apertura?

C’erano tante incognite. Dovute soprattutto al fatto che questo non sia un ristorante al 100% spagnolo o al 100% italiano. Questo mix inizialmente creava un po’ di confusione, scompiglio. Il mio ristorante è una cosa a sé, sono partita con questa idea e non mi sono voluta snaturare. Anche se ricordo il primo periodo non fu facile, la gente non ci capiva. L’avevamo però messo in preventivo: ero sicura che avremmo sofferto un po’ all’inizio, ma avremmo sofferto di più se avessimo creato una realtà che non ci apparteneva, così da attirare clientela, per poi cambiare. Dal primo giorno siamo partiti così. Abbiamo faticato tanto, abbiamo anche dubitato, anche a causa del Covid e delle varie chiusura forzate nel corso dei mesi. La gente, poi, sapendo che fossi stata tanto tempo in Italia era convinta di trovare la pizza, oppure turisti che credevano facessimo la paella. Insomma, c’è voluto un po’ di tempo prima che ci capissero. Oggi per fortuna ci siamo affermati, anche grazie alla guida Michelin che per la prima volta ci ha segnalato nel 2023, e a quella Repsol. Ma forse è il passaparola dei clienti ad averci fatto più crescere. 

A Roma ti sei contraddistinta anche per la tua carbonara. Qui l’hai voluta mantenere in carta, in quanti te la chiedono?

In tanti, quella non può uscire dal menu. E sono sia gli stranieri a chiedercela ma anche gli italiani, soprattutto quelli che vivono qui. Qua in Spagna comunque la pasta è concepita in modo piuttosto banale, come fosse qualcosa di semplice, e il nostro scopo è anche un po’ ribaltare questo pregiudizio, cambiare questa mentalità. Alla carbonara ci devi dedicare del tempo, è un piatto non semplice tantomeno banale, deve essere della giusta temperatura, della giusta cremosità. Il guanciale deve essere di qualità, noi lo prendiamo direttamente da Norcia, il pepe invece è local. Anche qui insomma c’è un mix tra i due Paesi.