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A Roma lascia il segno l’Orma di Roy Caceres. Nella Capitale un viaggio tra i sapori del mondo

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Una delle cucine più ricercate, complesse e audaci della capitale, Orma è il regno della ristorazione fusion, con ingredienti esotici e tradizioni gastronomiche provenienti da tutto il mondo”. Così la Michelin presenta il ristorante insignito della Stella più ambìta.

Orma, perché metaforicamente vuole rappresentare un’impronta, proprio come un segno che lasciamo mentre camminiamo. Un simbolo, dall’altro lato, che può essere lasciato anche alle e nelle persone, come una traccia sì nel loro cuore e nella loro mente, ma soprattutto nel loro palato. Orma perché di fatto un segno, a suo modo, questo ristorante lo lascia nel commensale, partecipe di un percorso gastronomico che lo porta davvero in giro per il mondo. Perlomeno in quelle parti di mondo che lo chef vuole riproporre nella sua cucina e che trovano un punto in comune, un luogo condiviso, in questo ristorante nel cuore di Roma, ad appena 15 minuti a piedi dalla stazione Termini e in un quartiere che alterna grandi palazzi storici ad hotel di lusso.

E allora eccolo Orma, termine tra l’altro anche anagramma della città che lo ospita, che come un pot pourri di culture e gastronomie un segno lo lascia davvero in chi qui ci viene a mangiare, approcciandosi a una cucina originale, creativa, tecnica, elaborata, ma che nell’intensità e complessità di gusti, sapori e sfumature trova una grande espressione. E anche per questo che Orma si posiziona, nella sua fascia, tra i ristoranti più interessanti e ferventi della Capitale. Il merito? Di quel giramondo di Roy Caceres, chef di origine colombiane ma trapiantato ormai in Italia, da oltre 30 anni, al punto da essere diventato un punto di riferimento dell’alta cucina di casa nostra. E da buon globe trotter qual è, Roy è riuscito a sintetizzare da Orma tutti gli aspetti più interessanti delle cucine di cui ha avuto testimonianza diretta, aggiungendo ciò che di buono ha visto, provato, assaggiato e conosciuto nei suoi tanti viaggi (Giappone, Asia, Medioriente, Messico, oltre all’immancabile Sudamerica) riuscendolo a mantenere sempre un’anima italiana, o quantomeno italianeggiante, in tutto ciò che pensa, crea e propone in una giostra caratterizzata da marcate personalizzazioni.

Ci sediamo da Orma, indirizzo inaugurato nel 2023, riconosciuto praticamente subito dalla Michelin con l’ambita Stella e tra i ristoranti di cui si parla di più, e meglio, nei discorsi di fine dining capitolino. Bello il locale, moderno, ampio e spazioso, in cui dominano toni marroni, caldi, lignei. Bella la sala, cucina a vista, bar praticamente all’ingresso a supporto di un concept che ha rende letterale il concetto di “percorso degustazione”. Sì, perché proprio dal bar si comincia nella scoperta della cucina di Roy, con un aperitivo di benvenuto e stuzzichini che arrivano direttamente sui tavolinetti fronte bancone. Prima di alzarsi e spostarsi allo chef table, dove ammirando quella complessa ma sinergica e oliata danza della brigata di cucina si può gustare un altro entreè (nello specifico, un’eccezionale capasanta esaltata dall’acidità del limone di Sorrento) per poi spostarsi in sala, dove il percorso degustazione si snoda tra i viaggi per il mondo di Roy.

Quello che potrebbe essere un assoluto di cavolfiore apre il bel menu degustazione pensato da Roy. Ecco infatti una composizione fatta di petali ottenuti dal gambo della verdura, poggiati su una deliziosa crema ancora di cavolfiore ed esaltati dal gusto del tartufo nero poggiato sopra a mo’ di garnish. Piatto di una delicatezza incredibile, tanto visiva quanto gustativa.

Si prosegue con uno spaghetto con uva passa di Pantelleria (lo zibibbo) e pinoli, elevato da un distillato di limone autoprodotto nel laboratorio del ristorante. Bella poi la sapidità di un piatto che rappresenta un omaggio alla Sardegna, terra natale della moglie dello chef: una foglia di bieta ricopre la fregola, il tutto cosparso da ricci di mare e la loro salsa. Tra Sudamerica, Medio Oriente e Italia un piatto a base di riso cotto nella foglia di banano, arricchito da una saporita salsa iraniana e cubetti di tenerissimo wagyu allevato in Veneto.

La chiusura è affidata a un dessert, ancora, a forti tinte latine. Gelato al mais bianco, crema al mais giallo, arachidi salate, passion fruit e tartufo nero. Degna conclusione di un gran pranzo all’insegna di una cucina bella, armoniosa, complessa sì ma che arriva al punto, che riesce a sorprendere a ogni morso. Una cucina che gioca su acidità spiccate (limone e lime sono utilizzati in varie ricette, in forma solida o liquida) che lasciano poi spazio a intense e belle sapidità, con poi note speziate che contribuiscono a un contrasto di cui difficilmente ci si stufa. Nient’altro da dire, se non davvero un bel pranzo. Seduti a Roma, ma in viaggio per il mondo.