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Bruno Manfredini, al Pepe Nero di Capodimonte uno dei maitre più giovani della Tuscia

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C’è chi a 20 anni ancora non sa cosa fare della sua vita professionale. C’è chi a 20 anni ancora cerca di orientarsi tra le varie scelte che gli si propongono davanti, con il dubbio davanti a un bivio (nelle migliore delle ipotesi) su quale strada intraprendere. C’è, insomma, chi a 20 anni ancora non ha idea di ciò che “vuole fare da grande”. Tutto legittimo, tutto normale, tutto comprensibile. Il dubbio di scegliere chi essere, o chi diventare, appena si termina la fase teenager della propria vita, è un qualcosa che andrebbe sicuramente normalizzato in una società che che ormai ci richiede di esser pronti subito a tutto. Alle vicissitudini della vita così come del lavoro.

E poi c’è chi, a 20 anni, è talmente sicuro delle sue passioni, del suo orientamento professionale, delle sue abilità da essere già in una fase piuttosto avanzata, data soprattutto la giovane età, della propria carriera. Al punto da essere, se non il più giovane maitre in assoluto del territorio (ma teniamo il beneficio del dubbio, perlomeno in ristoranti di un certo livello), sicuramente uno di quelli dall’età più verde. Oggi infatti conosciamo Bruno Manfredini, ragazzo classe 2004 (tra l’altro, fine 2004) a cui sono state affidate le chiavi della sala del ristorante PepeNero a Capodimonte, sulle rive del lago di Bolsena. Un indirizzo la cui cucina è firmata da Salvo Cravero, chef più che consolidato nella Tuscia e che ha portato la propria filosofia di cucina, rinnovata secondo le esigenze della clientela di oggi, sulle sponde del lago di origine vulcanica più grande d’Europa. E che ha scelto, assieme al proprietario del locale Daniele, proprio Bruno come volto di sala del ristorante.

Il primo ruolo di grande responsabilità per un ragazzo appena ventenne che, a suo modo, è già chiamato a essere pronto alla carica di cui è stato investito. Pronto, forse il termine giusto, non solo a portare in alto il concetto di accoglienza al PepeNero, ma anche a sbagliare, fisiologico data l’età, che significa anche necessariamente crescere, formarsi, sviluppare le proprie capacità relazionali, empatiche e professionali. Con alle spalle un “tutor” come Salvo, e con una bella esperienza da Convivial, bel ristorante giovane e di giovani a Tuscania, però il processo di formazione non può che essere in buone mani. E le spalle di Bruno, servizio dopo servizio, sono pronte a crescere sempre di più. Intanto, però, Bruno è già sommelier di terzo livello, trasmette e comunica al meglio la sua passione per il vino, e al meglio cerca di veicolare e presentare ai clienti la cucina di Salvo.

L’ho incontrato direttamente nella sua sala, Bruno, e mi sono fatto raccontare qualcosa in più di lui.

Come ti è venuta la passione per il lavoro in sala? Qual è stato il tuo percorso?

Fa sempre un po’ ridere raccontarlo, perché nella mia famiglia da generazioni si è sempre fatto un altro mestiere: mio bisnonno, mio nonno e mio padre erano apicoltori. Noi non andavamo spesso al ristorante, lo vedevo solo da fuori, e c’era sempre questo gatto che mangiava gli avanzi davanti al ristorante del paese. Mio padre scherzando mi diceva: “Tu da grande devi fare il gatto del ristorante, almeno mangi gratis”. Poi, a 16 anni, senza nemmeno aver chiesto nulla, mi hanno chiamato a lavorare in un chiosco qui a Capodimonte e da lì è iniziato tutto.

Hai frequentato una scuola specifica per questo lavoro?

Sì, ho scelto l’istituto alberghiero di Montalto. Quando vennero a presentarlo alle scuole medie, mi colpì subito il modo in cui i professori parlavano della scuola. Quando andai a visitarla, vidi che era un ambiente piccolo, familiare, con un rapporto unico tra studenti e docenti. Mi innamorai sia della scuola sia delle prospettive che offriva per il futuro. A 16 anni ho iniziato a mettere in pratica ciò che avevo imparato.

Ti sei indirizzato subito verso la sala o hai approcciato anche la cucina?

Nei primi due anni si faceva un po’ di tutto, ma al terzo anno ho scelto la sala senza esitazioni. Mi piace il rapporto con le persone e la possibilità di far vivere loro un’esperienza unica, non solo servendo da bere e da mangiare, ma creando un’atmosfera accogliente. Mi piace il mondo del vino, da poco sono sommelier di terzo livello, dell’accoglienza e della convivialità.

Ti sei formato anche al di fuori della scuola?

Sì, subito dopo il diploma ho iniziato il corso da sommelier con l’AIS e ho completato tutti e tre i livelli. Ho fatto l’ultimo esame proprio la settimana scorsa e sono ufficialmente sommelier! Qui al ristorante mi hanno soprannominato “Brunello” proprio per la mia passione per il vino. Per quanto riguarda l’extravergine non ho ancora fatto studi specifici, ma mi piacerebbe. Mi appassiona perché ogni anno partecipo alla raccolta delle olive di famiglia. Fortunatamente, lo chef con cui lavoro è molto preparato sull’argomento e mi trasmette molte conoscenze.

Quali esperienze lavorative hai avuto prima di diventare responsabile di sala qui al Pepe Nero?

Ho iniziato a 16 anni con una stagione estiva in un chiosco sul lungolago, facendo turni di 16 ore al giorno senza pausa, ma mi piaceva. Poi ho lavorato nei weekend al Pepe Nero, nella precedente gestione, mentre terminavo la scuola. Durante il percorso scolastico ho avuto la possibilità di partecipare a eventi importanti, come il decimo congresso nazionale della CISAL al Marriott e un servizio esclusivo alla Casa dei Cavalieri di Rodi per un banchetto di 15 persone con un team altamente qualificato. Ho fatto anche catering con diverse realtà. Dopo la scuola, ho iniziato a lavorare al Convivial a Tuscania, un ristorante che mi ha formato molto. È stato il primo posto dove ho visto una ristorazione che puntava più sulla qualità che sulla quantità. Lì ho capito che il modo di rapportarsi con il cliente cambia completamente: bisogna essere professionali, ma senza essere freddi. A me piace un servizio conviviale, professionale ma accogliente, dove il cliente si sente a casa.

Com’è stato diventare responsabile di sala così giovane?

All’inizio un po’ ero intimorito, perché tutto era nuovo e non avevo più le figure di riferimento a cui ero abituato. Però ho trovato persone disponibili, sia lo chef che la proprietà mi hanno aiutato tanto. Essere responsabile a vent’anni richiede un po’ di incoscienza, ma anche tanto impegno. Mi sento supportato e ho ancora molto da imparare.

Anche in sala l’imprevisto sa essere dietro l’angolo. Come affronti le difficoltà?

Cerco di essere razionale, ma a volte l’istinto prevale. Fortunatamente, qui c’è un grande spirito di squadra: parliamo molto tra noi prima che si creino criticità. Confrontarsi aiuta a trovare soluzioni e a migliorare continuamente.

C’è un concetto chiave che un maître dovrebbe sempre avere?

Sicuramente l’empatia. Un maître deve far sentire il cliente a suo agio, non freddo o distante. L’accoglienza è fondamentale: non bisogna far sentire il cliente impaurito o in tensione, ma libero di godersi l’esperienza. Anche nel mondo del vino, preferisco raccontare la storia del produttore e del territorio piuttosto che usare troppi tecnicismi, perché voglio avvicinare le persone a questo mondo, non allontanarle.

Come ti vedi tra dieci anni?

Domanda difficile! Sicuramente con più consapevolezza e maturità professionale. Spero di aver sviluppato ancora più competenze e di aver trovato un equilibrio tra istinto e razionalità. L’esperienza aiuta tanto, quindi vedremo cosa mi riserverà il futuro! Sicuramente in futuro come oggi, la parola chiave sarà empatia.