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C'è una ragazza della Tuscia che ha conquistato la grande pasticceria italiana

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Dalla Tuscia al lago di Como, passando per alcune delle cucine più prestigiose d’Europa: quella di Martina Brachetti è la storia di una giovane pastry chef che, partita da una provincia fin troppo spesso ai margini delle grandi rotte gastronomiche, è riuscita a conquistare un posto di rilievo nella pasticceria italiana. Oggi, eletta dal Gambero Rosso e da Cook-Corriere della Sera tra le migliori pastry chef d’Italia, rappresenta con orgoglio la sua terra oltre i confini regionali, portando nel suo lavoro il nome e lo spirito della provincia di Viterbo. Un’ambasciatrice della Tuscia che, con determinazione e talento, sta costruendo un percorso che fa parlare di sé e, seppur indirettamente, anche della sua terra.

Abbiamo parlato con lei della sua carriera, dei suoi progetti e di questo momento che la sta vedendo in cima ai giudizi di stampa e critica di settore.

Martina, tu hai mosso i primi passi professionali in Tuscia, lavorando a La Belle Hélène di Tarquinia e poi a La Parolina di Trevinano: che cosa ti hanno lasciato queste esperienze così vicine a casa?

Le mie prime esperienze in Tuscia sono state fondamentali perché mi hanno dato due cose che ancora oggi considero il mio “nucleo”: l’attenzione alle materie prime e il rispetto del ritmo del lavoro. A La Belle Hélène ho capito cosa significhi essere affidabile, imparare tutti i giorni. A La Parolina, invece, ho scoperto la precisione, la sensibilità verso il territorio e la cura artigianale dei dettagli. Erano esperienze vicine a casa, ma mi hanno insegnato che si può costruire un’identità forte anche partendo da un luogo piccolo, purché si abbia voglia di crescere.

Qual è stato il momento in cui hai capito che la pasticceria sarebbe diventata il tuo percorso di vita e quando hai sentito il bisogno di partire per formarti altrove?

L’ho capito il giorno in cui ho realizzato che la pasticceria mi faceva dimenticare il tempo: potevo stare ore a provare, sbagliare, rifare. È un lavoro profondamente creativo, dove si può apprendere e scoprire ogni giorno, lavorando con materie prime vive ed in cambiamento costante. La pasticceria è dinamismo, ma con radici ben solide, proprio come me. Il bisogno di partire, invece, è arrivato quando ho capito che per diventare davvero una professionista dovevo confrontarmi con realtà più grandi di me, uscire dalla mia comfort zone e mettermi alla prova con una cucina e una pasticceria più strutturate. Non volevo “accontentarmi”: volevo formarmi al massimo livello possibile.

Hai avuto tappe internazionali importantissime come The Fat Duck, The Square e la Maison di Pierre Hermé: cosa ti sei portata dietro da queste esperienze e quanto ti hanno cambiata come professionista?

Queste esperienze mi hanno cambiata completamente, sia come tecnica che come mentalità. The Fat Duck mi ha insegnato la ricerca scientifica, la voglia di capire il “perché” di ogni gesto. The Square mi ha dato disciplina, capacità organizzativa e una visione molto chiara della pasticceria da ristorazione moderna. Pierre Hermé è stato un incontro con la raffinatezza assoluta, con l’estetica, con l’equilibrio dei sapori portato al massimo livello. Da tutte loro ho portato via una cosa comune: la consapevolezza che l’eccellenza non è negoziabile e che ogni dettaglio, anche il più piccolo, conta.

Arrivare al riconoscimento del Gambero Rosso e lavorare oggi come Executive Pastry Chef al Passalacqua Lake Como è un traguardo importante: quali sono stati i passi più difficili e le soddisfazioni più grandi del tuo percorso?

I passi più difficili sono stati i periodi in cui ho dovuto dimostrare, a me stessa più che agli altri, che ero pronta per ruoli di responsabilità. Crescere in cucina significa spesso reggere ritmi intensi, imparare a guidare una squadra, prendere decisioni difficili ogni giorno. La soddisfazione più grande è vedere il risultato del lavoro di squadra: la colazione di un hotel come Passalacqua, i dessert, la cura degli ospiti… tutto ciò esiste perché dietro c’è un reparto unito, formato, orgoglioso. Il riconoscimento del Gambero Rosso è stato un momento bellissimo, ma più di tutto mi gratifica sapere che il mio lavoro contribuisce all’esperienza degli ospiti di una delle realtà più prestigiose d’Italia.

Nella tua formazione c’è anche il passaggio alla Pergola con Heinz Beck e il Maestro Giuseppe Amato: cosa ti ha insegnato il contatto con una cucina d’eccellenza italiana?

La Pergola è stata una scuola di metodo e di rigore. Heinz Beck e il Maestro Amato mi hanno insegnato che nulla è lasciato al caso: ogni preparazione, ogni abbinamento, ogni dettaglio estetico ha una logica precisa. È lì che ho compreso quanto la pasticceria italiana possa essere contemporanea pur mantenendo eleganza e identità.

Oggi lavori in uno dei contesti più prestigiosi d’Italia e in qualche modo sei “ambasciatrice” del nostro territorio. Sogni o immagini un giorno di tornare in Tuscia in caso di un progetto valido, o magari anche personale?

La Tuscia è casa, e questo non cambierà mai. In questo momento la mia strada è altrove e sto costruendo un percorso che mi sta dando moltissimo, ma non escludo nulla. Se un giorno arrivasse un progetto realmente interessante, che valorizza il territorio in un modo autentico e ambizioso, potrei valutarlo. Casa è sempre casa e per me sarebbe un onore portare il mio bagaglio, in modo da poter valorizzare la Tuscia viterbese che a volte sembra un po’ abbandonata, nell’ombra di Roma. Per ora continuo a crescere dove sono, ma il legame con la Tuscia rimane fortissimo.

Che cosa diresti oggi a una ragazza o a un ragazzo della Tuscia che sogna di fare cucina o pasticceria e magari teme che partire da una piccola realtà possa essere un limite?

Direi che partire da una piccola realtà non è un limite: è una forza. Ti dà fame, curiosità, determinazione. Ti insegna a guadagnarti ogni conquista. Serve la paura, dalla paura nasce il coraggio, in questo lavoro è fondamentale per rompere gli schemi. Avere il coraggio di uscire, formarsi, vedere il mondo e poi, se lo si vorrà, tornare con una visione più ampia. La Tuscia ha talento, materie prime straordinarie e una storia che merita di essere portata lontano. Se hai passione, disciplina e voglia di imparare, il punto di partenza non definisce il tuo futuro.

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