Come e cosa si mangia da Barbagianni, ristorante contemporaneo a Colle Val D’Elsa
Colle di Val dʼElsa è un antico borgo incastonato tra i colli senesi e nel suo nucleo più antico, sulle mura della città medievale, troviamo il ristorante Il Barbagianni. Il menù proposto è fortemente legato al territorio, alla stagionalità, al km0 (tante le materie prime autoprodotte nell’orto di proprietà) e alla qualità dei prodotti utilizzati. La nostra esperienza al Barbagianni è stata densa e ha soddisfatto tutti i nostri sensi. Si è trattato di un menù degustazione di numerose portate, sapientemente abbinate alla giusta bevanda poiché non vengono contemplati solo i vini, ma anche bevande e cocktails che possono apparire di primo acchito insoliti e originali.
Cosa si mangia al ristorante Barbagianni
Il nostro viaggio inizia con una proposta di tre amuse-bouche, belle da vedere quanto buone da mangiare. La prima è una tartelletta al pomodoro a mo’ di cestino ad un mix di erbe e fiori che facevano da cornice ad una sfera di estratto di lattuga, che esplode sul palato regalando una sensazione di freschezza. Il secondo è un taco di mais miniaturizzato, ripieno di tartare di manzo, maionese al fumo e scalogno marinato: il fumo pervade subito il palato, la tartare si scioglie in bocca creando un bel contrasto di consistenze con la croccantezza del taco. Il terzo è un creme caramel di fegatini di pollo, accompagnato da una salsa al creme caramel e una nocciola tostata, un connubio di sapori in cui l’amaro e il sentore ferroso del fegato si scontra con la dolcezza e la persistenza del caramello. Per quanto riguarda il food pairing, Cristian, il sommelier, ci ha guidati passo passo: ci ha sorpreso con un Lady Vermut Shot, da lui rivisitato con acqua di ginepro, liquore chartreuse e sour, oltre ad una tepache, bevanda messicana fermentata che lui ha realizzato con alcune vinacce di Chianti.

Particolarmente piacevole la selezione panificati: grissini tirati a mano, una focaccia all’olio di rosmarino realizzata con una farina di tipo 3, molto alveolata, ed un pane dalla crosta croccante realizzato con un impasto di lievito madre e di farina di tipo 1, il tutto accompagnato da un burro salato alle vinacce.
È il momento poi del carciofo alla brace: si presenta decorato con chips di carciofo e polvere di caffè, mentre le foglie esterne più coriacee sono state fatte fermentare per 5 giorni per divenire un beurre blanc, realizzato con del burro e l’acqua del carciofo, acido e sapido al tempo stesso. Questo piatto viene proposto con un calice di Brut Nature La Bretesche, fresco e dai sentori erbacei e vegetali, caratteristiche insolite per una bollicina, con aromi di anice e scorza di limone. Del prossimo piatto colpisce non solo il sapore ma soprattutto l’estetica: siamo abituati, almeno nella cucina toscana, a visualizzare la carne di cinghiale sotto forma di uno spezzatino o come un ragù grossolano, ancorandolo così ad una cucina rurale e da trattoria. Molto tradizionale, molto gustosa ma limitata. Qui invece lo chef ha reinventato l’immagine del cinghiale: lo ha marinato per 6 ore, per poi cuocerlo come fosse roast beef, condito con il suo fondo, per non rinnegarne la natura selvatica, decorato con delle perle di gel realizzate coi germogli di abete in agrodolce, e poi ancora polvere di abete, olio all’alloro, una salsa bernese al dragoncello toscano e qualche foglia di xalis rosso, per la nota acidula.

L’azzardo del sommelier: abbinare un Macchialuna Toscana Bianco IGT, annata 2020, un prodotto, dalla base floreale, dotato di una struttura e di una persistenza che lo rendevano perfetto per questa carne, così nobilitata anche nella sua forma.
La prosecuzione stupisce ancora sia per il contrasto di sapori che per il gioco di colori che si crea nel piatto. Si tratta di gnocchi ripieni di arancia amara candita, prosciutto anatra essiccato e affumicato, olive in pesto di prezzemolo, una salsa allo zafferano profumatissima e delle foglioline di xalis verde. Questo piatto ha un accento carismatico, un richiamo alla cucina a cavallo fra Medioevo e Rinascimento, quando ancora i contrasti agrodolci erano forti e lo zafferano faceva da padrone nelle cucine dei nobili, rendendo dorate le pietanze dei banchetti. A questo piatto troviamo accostato un vino spagnolo, uno Zárate Albariño Rias Baixas, annata 2022, fresco e persistente, dall’aspetto quasi torbido si presenta all’olfatto affumicato poiché fa un passaggio nel legno e ricorda il tabacco o il fieno bruciato.

La portata più scenografica della cena è sicuramente la zucca. Questa viene laccata con miso alla zucca e poi cotta alla brace, impiattata con un uno zabaione al tartufo. Di fianco, un’insalata di zucca fermentata, in agrodolce e in polvere, con foglie di artemisia che conferisce all’insieme una nota prepotente e amarognola. A completare il piatto già complesso un buñuelo croccante, ripieno di zucca e pralinato salato alla nocciola. Altra portata, altro wine pairing: è la volta del Purple Rose, del Castello di Ama, annata 2022, un rosé speziato, dal sentore di frutti di bosco come lampone e ribes, quasi balsamico grazie alle note di salvia e prezzemolino selvatico.
Lo chef propone un’altra carne molto particolare, ovvero il capriolo. Il controfiletto viene cotto (sapientemente) sul momento e si presenta consistente al taglio e morbidissimo sul palato. Il piatto è decorato con dei bocconcini di mela cotogna cotta con ibiscus e melograno ed una pralina di castagna avvolta nel suo stesso grattugiato fresco. Una riduzione di melograno conferisce al piatto la nota acida. Ed è incredibile come un vino californiano sia la scelta giusta per il capriolo: De Loach Hermitage Reserve 2020 di Zinfandel, un vitigno particolare, molto dolce, che poi si apre con i sentori di spezie e cuoio, è un vino molto autunnale ma al tempo stesso elegante.

Come pre-dessert possiamo deliziare il nostro palato con una mousse di foglie di acetosa, accompagnata da una brunoise di gambi e del cioccolato bianco, un contrasto acidulo e dolce che azzera il palato. Ed è a questo punto della serata che diventa ovvio quanta complessità, quanta cura e quanto studio ci sia dietro alla struttura del menù. Assaggiamo una tisana alcolica, a base di Gin Sabatini e un infuso di lavanda di Bolgheri, melissa, camomilla e achillea, servita con una punta di miele alla lavanda e del ghiaccio.
Il dolce è un minestrone di frutta e verdura, in cui sono protagoniste una quenelle di sorbetto al pompelmo e una supreme di arancia e pompelmo. La salsa è realizzata con il succo di mandarini e arance, ammorbidita dalla vaniglia, condita con sale e olio e arricchita nella consistenza da una brunoise di sedano, carote e finocchio. Acido e fresco, questo dessert ci dimostra che non è necessario utilizzare zuccheri e grassi per addolcire il nostro palato. Con il caffè ci vengono serviti una tartelletta, di ispirazione al tiramisù, con una pastafrolla al caffè ripiena di crema al caffè e di un cremoso al mascarpone. Segue un macaron al limone arrostito e una pralina liquida alla melagrana. Per chi scrive, intollerante al lattosio, lo chef ha ripensato il classico pane vino e zucchero, scottato in padella e un tartufino realizzato con le spezie del panforte, arricchito con bacche di Goji e datteri. E finisce così la cena: felici e contenti, di aver scoperto un’autentica perla nel cuore della Val D’Elsa.

