Giovani emergenti: con Nicola Cascini, chef de La Locanda del Cardinale ad Assisi
Classe 1998, umbro di origine, Nicola Cascini è oggi lo chef più giovane alla guida di un ristorante di alto livello in Umbria. Da aprile è executive alla Locanda del Cardinale di Assisi, dove sta portando avanti un percorso personale e professionale ambizioso: unire tecnica, sostenibilità e ricerca costante, senza dimenticare la tradizione, importante sì seppur non centrale nella sua filosofia. Nel suo curriculum figurano esperienze significative in Italia e all’estero: dal ristorante Le Bistrot di Calví, in Francia, al Capo Nord all’Isola d’Elba, fino a una parentesi milanese al fianco di Antonello Colonna. Il tutto, dopo essersi diplomato all’istituto alberghiero proprio di Assisi, città in cui è poi tornato con un ruolo di significativa importanza, quasi a chiusura del primo cerchio della sua fin qui giovane carriera.
Nei suoi contesti professionali Nicola ha potuto affinare competenze fondamentali: tecniche di cucina avanzate, velocità di esecuzione e una rigorosa pulizia nel lavoro, elementi che oggi rappresentano pilastri della sua identità professionale. Dopo il ritorno in Umbria a causa della pandemia, Cascini ha guidato per tre anni la cucina di Gus, a Foligno, affermandosi come una delle voci più interessanti della nuova generazione umbra.
Con lui abbiamo parlato dei primi mesi in brigata, delle sfide quotidiane e della sua idea di cucina protagonista nel centro storico di Assisi.
Sei arrivato qui ad aprile: possiamo dire che sei ancora in rodaggio? Sì, esatto, siamo ancora in una fase di assestamento. È appena arrivato un nuovo ragazzo che ci dà una mano in cucina e presto ne arriverà un altro per la sala. Stiamo crescendo insieme, perché è importante costruire un gruppo unito. Intanto sto già pensando a un menù autunnale più ambizioso.
Raccontaci un po’ dei tuoi primi mesi alla Locanda. Sei probabilmente il più giovane chef di un ristorante di alto livello in Umbria: come hai vissuto questo inizio? Devo dire che non mi sono sentito sotto pressione. Già a 22 anni ero responsabile di una piccola cucina: un contesto più ridotto, certo, ma con le sue complessità. Quell’esperienza mi ha insegnato a stare tranquillo e a lavorare giorno per giorno con costanza. Le difficoltà ci sono, come in ogni percorso, ma ho molto entusiasmo e voglia di crescere.
Facevi già parte della brigata di cucina precedente: com’è stato il passaggio a chef? Hai mantenuto qualcosa della vecchia impostazione o hai voluto cambiare subito? Ho cambiato tutto da subito: piatti, impostazione, fornitori. Credo sia giusto così. Quando arriva un nuovo chef deve portare la propria idea di cucina, non limitarsi a continuare quello che c’era prima. Per me era importante mettere subito la mia firma sul menù.
Fin qui, sei soddisfatto? Sì, direi di sì. Le soddisfazioni non mancano, anche se ci sono giornate difficili. L’importante è continuare a spingere, a migliorare, e cercare sempre di trasmettere qualcosa attraverso la cucina.
Come definiresti la tua cucina, a livello di identità? Mi piace spaziare a 360 gradi. Non sono legato in maniera esclusiva alla tradizione: studio anche tecniche giapponesi, ad esempio. Se un giorno dovessi aprire un mio ristorante, mi piacerebbe lavorare molto con il pesce, con tecniche di frollatura particolari, ovviamente su prodotto pescato e non allevato. Allo stesso tempo amo la carne e non rinnego la tradizione, che però mi piace rivisitare.
E come nasce il tuo menù? Ti lasci guidare più dalla stagionalità, dal territorio o dalle tendenze del momento? La stagionalità è fondamentale, così come il territorio. Sto cercando collaborazioni con produttori locali e punto a una cucina a spreco zero. Mi piace lavorare con verdure e ingredienti vegetali, anche se non è sempre semplice. Credo molto nella sostenibilità: scegliere un allevamento allo stato brado o un pesce pescato significa offrire qualità, anche se spesso il cliente non percepisce la differenza. È un lavoro anche di educazione gastronomica.
Ti fa un effetto particolare essere visto come “lo chef più giovane dell’Umbria”? No, non mi pesa. Sono una persona semplice e umile, non ho mai amato mettermi troppo in mostra, nemmeno sui social, anche se adesso mi tocca un po’ di più. La mia soddisfazione quotidiana è portare a termine il lavoro, crescere con la mia brigata e migliorare. So che c’è ancora molta strada da fare.
La tua più grande soddisfazione e la più grande difficoltà in questi primi mesi da chef? La soddisfazione più grande è proprio essere arrivato a questo ruolo e vivere tante piccole conquiste quotidiane: partecipare a eventi, cucinare per fiere, crescere professionalmente. Non c’è un momento unico, ma un insieme di esperienze positive. La difficoltà più grande invece è la carenza di personale: un problema comune a tanti ristoranti, anche stellati. A volte ti ritrovi a dover coprire più ruoli contemporaneamente, fare doppio lavoro per far funzionare tutto. È faticoso, ma fa parte del percorso.