Holy Food, la bottega che fa resistenza (agroecologica) nel cuore di Terni
«Siamo una bottega di resistenza agroecologica. Il nostro lavoro è stare nel mezzo: tra chi coltiva e chi mangia». Parto per una volta dalla fine per raccontare un locale di recente scoperta. Da una frase che è emersa nelle battute finali della chiacchierata con Federica (una delle due socie del locale, nonché cuoca), durata una buona mezz’ora, al termine della quale è riuscita a classificare Holy Food in una categoria. Era stata una delle prime domande poste “Come definiresti Holy Food?”, quesito al quale inizialmente non era riuscita a rispondere. Ma la definizione è arrivata, poi, quasi come un’epifania, dopo un lungo discorso sulla filosofia che si nasconde dietro questa bottega alimentare ternana.

Eppure i presupposti non erano così buoni. Sul bancone della bottega campeggia un cartellino. “Niente interviste”, recita. Insomma, non un gran punto di partenza. Ma Federica, una delle due socie del locale, alla fine si è lasciata convincente (senza nemmeno troppa fatica). Così è cominciata la nostra chiacchierata, non un’intervista, su Holy Food. Una chiacchierata in cui emerge come il cibo, in qualche modo, arrivi quasi dopo. Come punto di arrivo, di piena consapevolezza, e non di partenza. E dove il primo concetto che si “respira” entrando qui dentro, è quello di semplicità.
Holy Food e il rapporto diretto coi fornitori
Semplicità che non significa però banalità. Non quando dietro un piatto essenziale si muove un intero mondo: un mondo fatto di etica, sostenibilità, scelte lente e consapevoli. Una semplicità che non semplifica, ma rivela. Che non toglie, ma svela. Perché ciò che arriva a tavola da Holy Food può apparire immediato, quasi “scontato”, ma è figlio di una cura che parte molto prima della cucina. Una cura che risiede nel rapporto diretto con chi coltiva, nella scelta di non sfruttare la terra né il lavoro, nella volontà ostinata di dare valore a ciò che è piccolo, vero, locale. Allora sì, si può parlare di “semplicità”: quella di una verdura raccolta dall’orto della cuoca, di un legume proveniente da un campo conosciuto per nome e storia, di una materia prima che non ha bisogno di essere trasformata troppo perché è già buona così, integra, rispettata.

Holy Food, un progetto “fuori dal coro”
C’è una parola che affiora ovunque quando si parla di Holy Food, la piccola bottega-gastronomia nel cuore di Terni: resistenza. Non come concetto violento, ma come pratica quotidiana. Resistenza a un sistema alimentare che consuma suolo e persone, che appiattisce il gusto e cancella i legami tra chi produce e chi cucina. Resistenza come scelta di restare umani dentro il cibo. Holy Food nasce nel 2017 da un’idea di Lalla (ragazza bergamasca) e un’altra ormai ex socia conosciute all’Accademia di Belle Arti di Terni. Oggi Federica, cuoca mantovana e anima della cucina, ha raccolto quell’eredità, portando con sé anni di studio sul cibo etico e sulle filiere locali. Il progetto è cresciuto come un’amicizia buona: lentamente, consapevolmente, con l’idea che il lavoro non deve sottrarre vita, ma sostenerla. Holy Food non è un ristorante. È una bottega resistente di cibo etico: un banco gastronomico dove ogni piatto viene preparato la mattina stessa, e dove spesa, pranzo e dialogo convivono. “Buono, pulito e giusto”, direbbe chi avvezzo al mondo Slow Food.

La cucina non ha gas: solo forno e induzione. Le lavorazioni sono minime, perché ciò che conta è il valore intrinseco della materia prima, oltre che il suo sapore vero, naturale. Verdure e legumi del territorio, vini e formaggi di piccoli produttori, carni provenienti esclusivamente da allevamenti etici e conosciuti. La filosofia è semplice, e proprio per questo radicale: «Dobbiamo conoscere chi coltiva, chi alleva, chi trasforma. Non ci basta un bollino biologico, una certificazione» Tutto si fonda sul rapporto diretto con la filiera, costruito nel tempo e mantenuto con cura. Il vegetale über alles, ma senza dogmi o retorica. La verdura non è un contorno, ma spesso la protagonista. La stagionalità decide il menù, che cambia ogni giorno secondo ciò che arriva dall’orto. Riso, legumi, lasagne e brisée vegetariane, verdure cotte o crude: piatti semplici, ma pensati, che non coprono la materia prima, la accompagnano. La cucina diventa così un luogo di educazione spontanea: una conversazione continua con i clienti su stagioni, terreni, differenze tra industria e artigianato. «Siamo una bottega di resistenza agroecologica. Il nostro lavoro è stare nel mezzo: tra chi coltiva e chi mangia.» Per l’appunto.
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