Il Frantoio, cucina colorata e creativa ad Assisi con lo chef Gabriele Mattiacci
L’ingresso, su una viuzza alla quale, distrattamente, non ci si fa nemmeno così caso, passeggiando tra i vicoli di quel gioiellino urbanistico e architettonico di Assisi. Vicolo degli Illuminati, una parallela della più grande e trafficata tanto da turisti a piedi quanto da auto via Fontebella, è il nome di questo più stretto camminamento dal quale si accede a uno degli indirizzi più noti, interessanti e ferventi di Assisi: Il Frantoio. All’interno del centro storico, quasi a metà strada tra la Basilica di San Francesco e piazza del Comune, all’interno della struttura del Fontebella Palace Hotel (4 stelle), un ristorante che si fa notare per stile, creatività e colore. La mano è quella di Gabriele Mattiacci, giovane chef classe 1997 che da poco più di un anno qui ha preso in mano le redini della cucina del Frantoio, dopo tre anni a fianco dell’ex executive Lorenzo Cantoni, per dare continuità a un lavoro e un progetto che in un centro come Assisi è riuscito a distinguersi e differenziarsi. Sino a ottenere (e negli anni mantenere) la segnalazione all’interno della guida Michelin. E chissà se i sogni non arrivino anche oltre. Sicuramente l’ambizione di qualcosa di importante si respira, tanto dalla proprietà quanto dallo stesso Gabriele. Ma tempo al tempo, anche perché lo chef è molto giovane e con ancora tanta strada davanti da dover, e voler fare. Le basi sembrano esserci, e l’indirizzo in questione è una valida destinazione sia per chi vuole iniziare ad approcciarsi a un determinato tipo di cucina, sia per i più appassionati di fine dining alla scoperta di nuovi ristoranti.
Cosa si mangia a Il Frantoio di Assisi
Tre diversi menu degustazione, non necessariamente legati a tutti i costi al territorio ma comunque ben identitari, con la loro filosofia e personalità. Anche con curiosi e spiccati richiami ai Templari, quasi un filo conduttore tanto in cucina quanto all’interno dell’hotel stesso, dove sono presenti vari riferimenti al noto ordine religioso cavalleresco. Ma torniamo alla cucina: Gabriele si diverte tra i fornelli, e allo stesso tempo fa divertire i commensali con proposte pop, colorate, dinamiche e contemporanee, che matchano a pieno con il contesto architettonico in cui siamo inseriti. Una bella sala, moderna, costellata di opere di pop art, con un’ampia vetrata dalla quale si getta lo sguardo, immediatamente sotto, sull’abbazia di San Pietro, volgendo gli occhi oltre sull’ampia vallata che si distende sotto Assisi. L’ambiente curato, la luce è soffusa, la giusta privacy per ogni tavolo e il giusto grado di formalità nel servizio di sala, anch’esso in sintonia con lo stile tanto della cucina quanto dell’ambiente in cui ci troviamo. Belli i tavoli, intarsiati di vere foglie di ulivo (il nome del ristorante, dopotutto, quasi lo richiede) e carino il poggiaposate in pietra a forma di macina. Un richiamo ai frantoi di una volta. La cucina di Gabriele spazia tra i suoi ricordi di infanzia e una prospettiva più moderna, contemporanea, attinge spesso dal suo passato per ridare ai piatti del proprio trascorso una nuova anima, una rinnovata luce. Se devo fare un appunto, dato il nome del ristorante e i tanti richiami “estetici” al mondo dell’extravergine mi sarei aspettato un po’ più di presenza “visiva” dell’ingrediente, magari più tipologie di evo mostrate, raccontate e utilizzate a chiusura dei piatti, direttamente a tavola. Ma queste, dopotutto, sono fisse personali di un appassionato di extravergine.
Più in generale quella di Gabriele è una mano bella, decisa, dinamica e fantasiosa, dotata di buona tecnica. Una cucina già identitaria per un 27enne che ha chiuso da poco il suo primo anno ufficiale da executive. Una cucina sicuramente migliorabile, sgrezzabile in certi aspetti, in cui alcuni elementi possono essere ridotti o direttamente eliminati, ma la giovane età del diretto interessato permette ampi margini di crescita e miglioramento. Carine e divertenti le amuse bouche, tra cui una finta arachide composta di olio extravergine, un bun ai peperoni e un “fritto” di ricotta di pecora e pepe a forma di suola, quasi subito a voler mettere in chiaro l’impronta che Gabriele vuole dare al menu sin dal principio, ma anche una citazione “gustativa” del detto “fritta è buona anche la suola di una scarpa”. Provata in anteprima una finta lingua di foie gras, balsamico, glassa al lampone e granella di nocciole. Kiss, un omaggio alla nota band, non parte dei menu degustazione, data anche l’abbondanza della portata, ma ordinabile a breve dalla carta.
Nocciole e lamponi elementi ricorrenti anche come accompagnamento ad un’animella fritta e anguilla affumicata. Il primo è invece un richiamo ai ricordi d’infanzia di Gabriele: il risone, retaggio delle preparazioni della nonna, con erbe di montagna, caviale di trota, yogurt e finocchietto. Si va sul classico col secondo primo: bello e buono lo spaghettone ai 4 pomodori condito con olio al pomodoro. Tra i secondi, capriolo cotto a bassa temperatura, il suo fondo e cacao, con contorno di capperi, asparagi e olive. Immancabile il piccione, tipico dell’Umbria, con tartufo bianchetto, purea di patate e rapa rossa. Interessante, inedito e curioso lo “sparring” di questo piatto: una ciotolina di creme brule di quinto quarto del piccione stesso. Originale l’idea, ghiotta la preparazione. Chiaramente, per i quinto quarto lovers.
Si chiude, dopo un pre dessert affidato a un gelato al pomodoro con gelatine all’arancio e lampone (queste, forse, superflue) e il dolce di spuma di mandorle, biscotto al cocco e albicocche. Dopo la cena (o il pranzo), poi, consigliabile una passeggiata nel centro di Assisi, per ammirare questa bella cittadina più “libera” dei turisti che invece la affollano durante le ore diurne.