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Il ristorante che pesca dalla grotta: a Frascati il Contatto è ipogeo

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Che scoperta nel centro storico di Frascati. Nella nota località dei Castelli Romani, famosa per lo più per la produzione di vino, un locale che definire ristorante risulterebbe quasi riduttivo. In tanti al giorno d’oggi usano, e spesso anche abusano, del termine laboratorio: luogo dedicato a sperimentare nuove preparazioni, tecniche di conservazione o cucina, in cui dedicarsi a prove e sviluppi. In questo caso, però, un laboratorio c’è a tutti gli effetti. E dimenticate il laboratorio “classico” fatto di celle frigorifere, strumentazioni di ultima generazione, aggeggi strani che sembrano arrivati dal futuro. Qui non c’è niente di tutto ciò. Anzi, l’ancestralità regna sovrana.

Contestualizziamo: siamo in una via popolata di fraschette in cui spicca il ristorante Contatto, apertura di 3 anni fa che in breve tempo è riuscita a convincere clienti e critica, sino ad arrivare oggi alla segnalazione in guida Michelin. Ma ciò che sorprende di più, a parte una cucina sicuramente ben pensata e realizzata, è ciò che si trova letteralmente sotto al ristorante. Nell’immaginario collettivo il laboratorio è un luogo che si trova sotterrato, nascosto, quasi inaccessibile. Beh quasi, perché Contatto può godere di una vera e propria grotta scavata nel tufo in cui dedicarsi alla sperimentazione su alimenti come vegetali, cioccolato, riso, aceto, sino a uno spazio dedicato alla coltivazione… in completa assenza di luce.

Dalla grotta al piatto, così funziona Contatto a Frascati

Una rete di cunicoli che per decine e decine di metri serpeggiano al di sotto del ristorante. Una profondità massima che arriva a 15 metri in cui lo chef Luca Ludovici e la compagna nonché maitre Lorena Cavana sperimentano come l’ambiente tufaceo sotterraneo, con la sua umidità e il suo microclima peculiare, influisca sul cibo, modelli sapori e consistenze, sfumi gli aromi. Il tutto secondo cinque princìpi cardine, fattori chiave che caratterizzano questo spazio ipogeo: buio, temperatura costante, umidità, tempo e muffe.

Condizioni che permettono agli ingredienti di reagire in modo peculiare e che vengono studiate con attenzione per comprendere come interagiscano con ogni materia prima. La grotta è divisa in due “stagioni”: una parte a 14°C con un’umidità tra l’80% e il 90%, l’altra, più fredda, a 12°C con umidità ancora più elevata. In questo microcosmo si conservano antichi saperi e si testano nuove idee. Il tutto senza macchinari particolari, ma solo sfruttando il microclima sotterraneo e tutto ciò che ad esso è collegato. Cunicoli, alte pareti di tufo, buio, umidità e muffe. È tutto qui.

Sembra semplice, detta così, ma il lavoro è da monitorare costantemente, la sperimentazione e la ricerca delle variabili o delle costanti che influenzano e “modificano” il cibo è lunga, fatta di tentativi, di insuccessi a loro modo fondamentali per arrivare però alla resa finale. Definitiva? Chi lo sa, considerando come gli studi siano ancora in corso, sia su cibi sempre nuovi sia su quelli già sperimentati. Il tutto finalizzato poi a una cucina creativa, che attinge da ciò che il sottosuolo regala, in un’ottica di chilometro “sottozero”.

La sperimentazione è continua. Non solo ingredienti locali, ma anche prodotti inviati da produttori curiosi e coinvolti: caffè crudo, riso, frutta, ortaggi. Le conserve vengono realizzate internamente secondo stagione: si raccoglie in abbondanza e si mette via per il futuro. I metodi di conservazione sono molteplici: sotto olio, sale, aceto, alcol — non solo per conservare, ma anche per aprire a nuove preparazioni. Per esempio, le visciole sotto spirito, oggi protagoniste di un nuovo dessert in fase di studio. Gli scaffali della grotta ospitano una varietà di barattoli: giardiniere, topinambur, capperi e cucucci (il frutto del cappero), finocchi di mare raccolti sugli scogli, e persino funghi. Ogni elemento è utilizzato nel menu, spesso in più versioni. Un ecosistema fatto di pietra, silenzio, buio e cura, in cui ogni ingrediente cambia pelle e acquisisce nuova vita.

Tra gli ingredienti simbolo del progetto c’è il riso Carnaroli, lasciato affinare in grotta per tre mesi e mezzo. Riposto in anfore di terracotta protette, il chicco assorbe l’umidità dell’ambiente e si trasforma: più ambrato, più gonfio, più profumato. In cottura si comporta come se avesse subito una lunga precottura a freddo: morbido all’esterno, croccante all’interno. Un risultato raggiunto dopo un anno di studio, prove e pesature costanti. E proprio il riso è protagonista di uno dei signature dello chef: un cremoso riso in bianco con croste di parmigiano, un piatto chiamato “La sostenibilità del riso”. Notevole è anche il progetto legato alla coltivazione in grotta: negli spazi più profondi sorge una fungaia di cardoncelli che, a umidità e temperatura costanti, proliferano rigogliosi. Così come alcune piantine, coltivate (nonostante l’assenza di luce) per coglierne i baccelli.

I clienti prima di mangiare possono effettuare una visita guidata in grotta, dove viene servita una amouse bouche direttamente negli spazi sotterranei. Una selezione interattiva e coinvolgente, come un piccolo viaggio nel tempo e nel gusto: un maritozzo salato con blu di bufala affinato in grotta, una sfera fritta ripiena di crema di patate al forno e rosmarino e un broccolo romano sottaceto con gel agrodolce. Poi si torna in superficie e il cardoncello visto in grotta lo ritroviamo in un piatto completamente a base fungo: un assoluto di fatto, il cardoncello è cotto alla brace e accompagnato dalla sua cremina e un buonissimo consommé. Arriva poi un porro anch’esso alla brace, salsa all’aringa e quinoa soffiata. Del primo, il riso, abbiamo già detto, interessante e gustoso poi uno gnocchetto con erbe di stagione, formaggio marzolino (affinato in grotta) e limone candito (questo, forse un po’ troppo intenso). Tra i secondi delle tenere ribs di maiale cotte a bassa temperatura prima e poi passate sulla brace, con lattuga romana e ketchup homemade di prugne. Il dessert è un omaggio alla cultura popolare locale: si chiama Sospiro, termine qui usato per indicare il bicchiere di vino da 120 ml particolarmente in voga nelle fraschette. 4 diversi tipi di cioccolato, a richiamare le 4 stratificazioni delle pareti della grotta. Alla base ganache al cioccolato bianco, terra al cacao salato, mousse al cioccolato fondente 72% maturato in grotta (più persistente con un leggerissimo retrogusto piccantino), sfoglia al cacao amaro, gelatina di malvasia puntinata.

Contatto, un ristorante che va oltre la cucina

Contatto è un ristorante di cui sentiremo parlare. Forse anche in ambito accademico. Non solo per la cucina, ottima, ma anche (se non sopratutto) per un lavoro in grotte tufacee in cui in tanti si sarebbero limitati a tenere il vino, mentre qui si fanno conserve, si “affina” formaggio, riso, cioccolato, caffè, si testa come l’ambiente della grotta influisca sul cibo, determinandone sapori, odori e consistenze. Si coltiva, addirittura, in totale assenza di luce. Insomma la cucina è solo il culmine di uno studio assurdo su conservazioni… qualcosa da approfondire in campo agronomico e che magari potrà anche essere oggetto di studio scientifico. Bravi.

Foto di Marco Aquilani | Officina Visiva