Osteria dello Sportello, come si mangia al ristorante Chiocciola Slow Food a Castel di Lago
Uno di quei ristoranti, convinzione ferma di chi scrive, che non solo vanno oggi per la maggiore, ma andranno per la maggiore anche per gli anni a venire. Uno di quei ristoranti, per concept e stile, più intrinsecamente legati al nostro retaggio e alla nostra cultura. Bello, affascinante, informale, dalle vibes domestiche e calde, quasi familiari. Una bella osteria contemporanea, nel rispetto dei canoni non scritti che questa classificazione richiama e richiede, dalla cucina attenta, ben ponderata, curata il giusto perché bada il giusto all’estetica. Ma che prima di tutto è di sostanza e di gusto.

Siamo all’Osteria dello Sportello (dalla via da cui prende il nome), locale diffuso, molto diffuso, ricavato all’interno di un ex palazzo nobiliare nel piccolo centro di Castel di Lago, frazione di Arrone. Siamo in provincia di Terni, a una decina di minuti di distanza dalla principale attrazione turistica della zona (le cascate delle Marmore, le più alte d’Europa tra quelle artificiali) e quasi inerpicate su di un borghetto si spalancano le porte di questo indirizzo. Un indirizzo che cattura già al primo passo varcata la sua soglia: ad attenderci subito una scalinata che ci fa entrare nel cuore dell’Osteria dello Sportello, e poi tante salette distribuite su più piani lungo un percorso che si snoda tra le antiche mura della struttura, con le sale ricavate in quelle che un tempo erano le stanze, gli ambienti, dell’edificio. Sembra quasi di muoversi in un paese in miniatura, tra le vie di un piccolo borgo medievale: solo che ad attenderci invece di porticine e finestrelle d’antan ci sono sedie dall’aspetto rustico e tavoli, in legno e dotati dello stretto necessario, con una mise en place essenziale.
Enzo Cerroni nuovo chef dell’Osteria dello Sportello
Da poche settimane la cucina è stata affidata alla mano di Enzo Cerroni, giovane cuoco dalla mano sicura e con esperienza in zona tra locali di Terni e Poggio Bustone (suo paese d’origine), che ora ha sposato il progetto dell’Osteria dello Sportello. Un menu ancora in fase di perfezionamento e definizione quello protagonista oggi al ristorante. L’arrivo dello chef, dopotutto, è recentissimo e ci vuole tempo per poter instradare il tutto nella giusta via. Le basi però ci sono, c’è identità di vedute con la proprietà, e c’è la volontà di migliorarsi sempre e comunque. Step by step, senza forzare troppo sia la mano sia i tempi.
Cosa si mangia all’Osteria dello Sportello
Osteria dello Sportello, dicevamo, un locale in pieno stile osteria contemporanea. Dopotutto è da tre anni Chiocciola nella guida di Slow Food (riconoscimento che premia a livello nazionale i migliori locali di questo genere), a coronamento di un decennio e mezzo di segnalazione all’interno della guida dei ristoranti “buoni, puliti e giusti”.
All’Osteria dello Sportello si trova esattamente ciò che ci si aspetta. Niente fuochi d’artificio ma una cucina essenziale, concreta e gustosa, pochi ingredienti e valorizzati al massimo. Una proposta ben focalizzata, priva di inutili orpelli incoerenti con il posto e con lo stile di Cerroni, uno che prima di tutto bada al sodo. Qualcosa da mettere a punto c’è, e ci mancherebbe altro, ma la rotta intrapresa promette di portare lontano. Circondati dalle mura storiche dell’antico palazzo nobiliare si può scegliere da una carta che offre una selezione di 8 antipasti (tra cucinati e freddi), 4 primi, 7 secondi e ben 6 dessert. I presidi Slow Food utilizzati: dalla Cipolla di Cannara alla fagiolina del Trasimeno e il pecorino di fossa.

Immancabile il tagliere di salumi e formaggi, ma tra gli antipasti sorprende una deliziosa, quasi setosa al palato, lingua di manzo con giardiniera prodotta internamente e una zuppa di cicerchie (legume locale, simile alla lenticchia) con castagne al vin brule. Buona, più comfort, la vellutata di zucca, robiola e pane al timo. Si continua sulla stessa lunghezza d’onda con il primo: una tagliatella liscia con condimento di quinto quarto: avvolgente, rotondo, pieno, certamente per gli amanti del genere. Da correggere l’utilizzo della scorza di limone, un po’ troppo invadente e sconnessa rispetto al gusto generale del piatto. Si respira poi l’aria umbra con i secondi: una rivisitazione di faraona alla leccarda con paté di fegato e un filetto di maiale in porchetta e il suo fegatello. Entrambi dalle belle cotture (prima in sottovuoto, poi sulla brace) e ghiotti, come ghiotta è stata in generale tutta la cena. Dessert anche scenografici: una pasta choux con crema di castagne, marron glacé e gelato al caffè, poi un cremoso alla zucca caramellata, “marshmallow” a forma di fungo e mousse di cioccolato fondente.

