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Pepe Nero, il coraggio della visione: quando metodo e creatività si incontrano

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A Capodimonte, affacciato sul lago di Bolsena, il Pepe Nero è diventato in poco tempo una delle destinazione gastronomiche più interessanti della Tuscia. Un progetto nato dall’incontro tra due mondi apparentemente lontani: quello razionale e strutturato di Daniele Ciuchini, ex bancario oggi proprietario e anima gestionale del locale, e quello culinario e narrativo di Salvo Cravero, chef che ha fatto della coerenza e del racconto gastronomico la sua cifra stilistica.

Insieme, hanno costruito un luogo che unisce metodo e intuizione, concretezza e visione, dando vita a una ristòria (come amano definirla loro) che interpreta il territorio con una voce nuova: contemporanea, ma radicata. A meno di un anno dall’avvio della nuova gestione, il Pepe Nero ha già conquistato l’attenzione delle principali guide italiane e internazionali, entrando sia nella Guida MICHELIN sia nel Gambero Rosso, confermando che anche in un piccolo borgo del Viterbese si può fare ristorazione d’autore senza perdere autenticità. Da una parte, Ciuchini racconta la sfida di trasformare un sogno personale in un progetto concreto e sostenibile; dall’altra, Cravero spiega come una cucina possa diventare linguaggio, memoria e racconto. Due prospettive diverse, ma complementari, che si incontrano in un’unica direzione: quella di un ristorante che non vuole semplicemente piacere, ma parlare al territorio e al futuro.

Foto di Marco Aquilani | Officina Visiva

OWNER DANIELE CIUCHINI

Nel tuo passato un mondo regolato da numeri e procedure come quello bancario, oggi un mondo creativo e operativo come la ristorazione. Ci sono delle competenze che hai portato con te e quali invece hai dovuto imparare da zero?

Venendo dal mondo bancario, sono passato da un ambiente fatto di regole, numeri e procedure a uno dove contano la creatività e il contatto diretto con le persone. Dal mio vecchio lavoro mi porto dietro il metodo, l’organizzazione e la capacità di gestire la parte economico-finanziaria dell’attività. Tutto il resto, dalla gestione del personale al rapporto con i fornitori, fino al modo di accogliere il cliente, l’ho dovuto imparare da zero, osservando, sbagliando e migliorando giorno dopo giorno. Anche sotto l’aspetto comunicativo stiamo lavorando per poter veicolare all’esterno un’immagine che ci rappresenti e racconti ciò che facciamo, e su questo ci dà una mano la mia compagna Giulia.

Cosa ti ha convinto a prendere in gestione questo ristorante e che tipo di visione avevi quando ha iniziato lo scorso novembre?

Il Pepe Nero è sempre stato un luogo a cui sono legato, fa parte dei miei ricordi e della mia storia personale. Avevo voglia di costruire qualcosa di mio, un progetto che unisse qualità, identità e rispetto per il luogo. Fin dall’inizio la visione è stata quella di creare un ristorante curato, contemporaneo ma con radici forti, che potesse distinguersi in un’area dove spesso si tende ad accontentarsi.

Come è stato il primo impatto col mondo della ristorazione? Come è stato importante avere una figura come Salvo Cravero in questa prima fase del percorso?

Il primo impatto con il mondo della ristorazione è stato tosto: ritmi, mentalità, dinamiche completamente diverse da quelle a cui ero abituato. Avere al mio fianco Salvo Cravero è stato determinante. Ci siamo scelti e, nonostante qualche difficoltà iniziale, abbiamo costruito un rapporto di fiducia reciproca. Lui è la mente creativa della cucina, io curo la parte gestionale e strategica. Oggi lavoriamo in sintonia, con obiettivi comuni e grande rispetto per i ruoli.

Ti eri fissato degli obiettivi particolari a breve/medio termine?

All’inizio l’obiettivo era semplice: creare una base solida. Poi, con il tempo, ci siamo posti traguardi più ambiziosi – migliorare l’esperienza del cliente, investire sulla cantina, far parlare di noi fuori dal territorio. L’ingresso in Guida Michelin, arrivato dopo soli otto mesi, è stato un segnale importante che ci ha confermato di essere sulla strada giusta.

La tua passione per il vino e la formazione da sommelier che peso hanno nella proposta gastronomica e nell’identità del Pepe Nero? Ti confronti con il maitre Bruno nella scelta della carta dei vini?

Il vino è sempre stato una mia passione, e la formazione da sommelier mi aiuta ogni giorno a dare un’identità precisa alla proposta del Pepe Nero. Con Bruno, il nostro maître, ci confrontiamo spesso: scegliamo insieme le etichette, cercando un equilibrio tra territorio e nuove scoperte. La carta dei vini è in continua evoluzione, e per noi è parte integrante dell’esperienza che vogliamo offrire.

Quali progetti hai in mente per far crescere il Pepe Nero e quale contributo sognate di dare alla scena gastronomica del lago di Bolsena e dintorni?

Vogliamo continuare a migliorarci, lavorare sulla stagionalità e sul legame con i produttori locali. Ci piacerebbe che il Pepe Nero diventasse un motivo per cui la gente viene a Capodimonte, non solo un ristorante sul lago. Il nostro sogno è contribuire a cambiare la percezione gastronomica del territorio, far capire che anche qui si può fare cucina di livello senza perdere autenticità.

CHEF SALVO CRAVERO

Il nuovo menu del Pepe Nero viene descritto come una “grammatica gastronomica”. Cosa significa trasformare un pasto in un racconto e non semplicemente in una sequenza di piatti?

Per me significa dare coerenza all’esperienza, che sia a pranzo o a cena. Non si tratta di sorprendere, ma di costruire un percorso con un ritmo preciso, una logica interna, una progressione che abbia senso. Ogni piatto ha un ruolo: non solo tecnico, ma narrativo. Il pasto non è una somma di portate, ma un racconto che si apre, si sviluppa e si chiude. Questo approccio nasce dalla mia formazione e da anni di lavoro sul campo, dove ho capito che il cliente non cerca solo gusto — cerca senso. Le quattro sezioni del menu — Radici & Alchimie, Le Icone, Il Mare, L’Orto & la Terra — sembrano veri e propri capitoli narrativi.

Foto di Marco Aquilani | Officina Visiva

Come è nata questa struttura, come l’hai ideata e quanto tempo c’è voluto per metterla in atto?

È nata da un’esigenza precisa: dare ordine e senso a una proposta che non voleva essere solo tecnica, ma leggibile. Avevo bisogno di una struttura che aiutasse il cliente a orientarsi, ma anche che raccontasse chi siamo oggi. “Radici & Alchimie” è la parte più libera, dove sperimento e rielaboro memorie. “Le Icone” sono i piatti che hanno segnato il mio percorso, riconoscibili e stabili. “Il Mare” è una sezione più verticale, più tesa. “L’Orto & la Terra” chiude con equilibrio, materia e stagionalità. Ci ho lavorato per mesi, ma più che il tempo è servita chiarezza. La struttura è arrivata quando ho smesso di pensare al menu come lista e ho iniziato a trattarlo come strumento di lettura.

Tu benché non originario di Viterbo ormai sei un ambasciatore gastronomico della Tuscia. In che modo il territorio entra nei tuoi piatti — e come si può raccontare la Tuscia attraverso la cucina contemporanea?

La Tuscia è diventata parte del mio vocabolario gastronomico. Non sono nato qui, ma ci vivo da anni, ci lavoro, ci insegno, e ci cucino. Il territorio entra nei miei piatti in modo diretto: attraverso i fornitori, le stagionalità, le erbe spontanee, le tecniche di cottura. Ma soprattutto attraverso la straordinaria varietà di materia prima che la Tuscia offre, spesso ancora poco raccontata. E poi entra in modo più sottile: nel ritmo, nei silenzi, nella materia. Raccontare la Tuscia oggi significa evitare la replica folkloristica e cercare una sintesi credibile tra memoria e contemporaneità. Non cerco di “modernizzare” la tradizione, ma di ascoltarla e restituirla con una voce che sia mia, ma che non la tradisca. La cucina può essere uno strumento potente per raccontare un territorio — se si ha il coraggio di non semplificarlo.

A un anno di distanza dall’inaugurazione del nuovo Ristòria Pepe Nero, come valuti la strada percorsa in questo tempo?

Abbiamo fatto un passo indietro per guardare avanti. Non è stato un salto, ma una scelta consapevole: mettere da parte alcune certezze per costruire qualcosa di più solido, più leggibile, più nostro. Il passaggio dal vecchio Pepe Nero alla Ristòria ha richiesto tempo, attenzione e una revisione profonda di ogni dettaglio — dal menu alla sala, dalla narrazione alla struttura operativa. In questo tempo siamo entrati in entrambe le guide, Gambero Rosso e MICHELIN, e questo ha dato forza al progetto. Ma il vero risultato è aver mantenuto la coerenza, senza rincorrere nulla. Abbiamo fatto scelte chiare, ci siamo esposti con una voce precisa, e il pubblico ha risposto. La strada è ancora lunga, ma oggi sappiamo dove stiamo andando.

L’ingresso in Guida MICHELIN cosa ha significato, per te personalmente ma anche per tutto lo staff del ristorante?

È stato un segnale importante, soprattutto per come è arrivato. Non c’è stato clamore, ma attenzione. Siamo stati inseriti tra le novità nella selezione di giugno, e un nostro piatto è stato scelto come immagine di copertina. Un gesto editoriale che abbiamo accolto con rispetto, senza proclami. Per me è stata una conferma silenziosa: che la voce che stiamo costruendo è riconoscibile. Per lo staff è stato uno stimolo: sapere che il lavoro quotidiano — fatto di precisione, cura e ascolto — viene visto, anche quando non viene detto. Non abbiamo festeggiato. Abbiamo continuato a cucinare, con la stessa attenzione di prima. La stella non è un’ossessione, ma una possibilità. E se arriverà, sarà perché abbiamo continuato a fare le cose bene, senza cambiare direzione. Devo ammettere che sicuramente fa piacere che il nostro lavoro sia stato riconosciuto a livello internazionale, dispiace un po’ di più che invece in termini più nazionali non sia avvenuto lo stesso. Ma ciò non ci abbatte, anzi ci dà ulteriore spinta.

Cosa vedi nel futuro del Pepe Nero?

Vedo continuità, prima di tutto. Il progetto ha trovato voce, e ora va consolidato. Il menu continuerà a evolvere senza perdere struttura, la narrazione si affinerà, e la proposta resterà leggibile anche quando cambia. Il futuro è già iniziato: stiamo lavorando a Pepe Nero LAB, una linea di prodotti brandizzati che nasce dal ristorante ma vive anche fuori da esso. Un’estensione naturale del progetto, pensata per portare la nostra identità in formati diversi, sempre riconoscibili, sempre coerenti.

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