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Come e cosa si mangia al ristorante di Carlotta Delicato

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Periodicamente nel mondo del food esce una precisa domanda: “quale sarà la meta gastronomica di quest’anno o del prossimo futuro?”, e in tanti provano a indicare precise città o province più o meno grandi come nuove destinazioni da segnare sulla cartina della ristorazione italiana del domani.

Detto come è sempre difficile indicare, e cogliere, le previsioni del genere, per di più in una materia liquida come la cucina e la ristorazione, io credo che siano i borghi in generale a potersi ritagliare (lo fanno già da qualche tempo in realtà) il loro ruolo e il loro spazio in questo ambito. Piccolo gioielli tra il verde di cui l’Italia già poteva farsi forte, arricchiti da un numero crescente di proposte gastronomiche (dalla trattoria a conduzione famigliare al ristorante di fine dining) in grado di incuriosire, attrarre, appassionati o semplici passanti. 

Questo mio pensiero è stato confermato dall’ultima visita al ristorante Delicato in quel di Contigliano, borghetto di non molte anime tra le alture della Sabina (Rieti è a 15 km) in cui Carlotta da un anno ha avviato un ristorante capace in pochi mesi di far (molto) parlare di sé. “Pensavamo avremmo fallito” mi ha detto Carlotta col sorriso, sarcasticamente ma nemmeno troppo forse, ricordando i primi periodi di attività e la realtà in cui ha scelto di agire. “Oggi invece spesso siamo pieni” rivendica, con orgoglio un po’ mascherato secondo me, ma consapevole di star vincendo una scommessa mica da poco.

A Carlotta piacciono le sfide e più sono complicate più si mette in testa di portarle al termine. Il suo ristorante con annesso successo è la cartina di tornasole della sua mentalità. Un locale piccolo in un posto piccolo e tranquillo, un contesto discreto per una meta che non si raggiunge poi così facilmente. Non si arriva certo per caso qua, le grandi rotte turistiche sono altrove, ma questo è esemplificativo della sfida raccolta (e fin qui riscossa) da Carlotta in cucina e suo marito Gabriele in sala. Il ristorante, infatti, è a totale conduzione famigliare. E la famiglia è giovane, molto giovane: 29 anni lei, 34 lui, con un bimbo di due anni che li aspetta a casa. E tutto è stato costruito in modo sartoriale per poter conciliare famiglia e lavoro: numero di coperti ridotto (massimo 24 commensali), abolite le lunghe preparazioni per poter attuare una cucina dal vivo, immediata, agilmente e facilmente disponibile.

Allora parliamone, della cucina. Rubo una considerazione fatta da una commensale al tavolo accanto al mio. “I tuoi piatti rispecchiano il tuo volto”, e credo sia un’affermazione esemplificativa della filosofia di Carlotta. Non si poteva trovare un giudizio più azzeccato. Siamo di fronte a una cucina attenta, pulita, a modo e ben fatta. Una cucina non rivendicata come gourmet o troppo ricercata ma buona, che volte sa essere comfort a volte invece più azzardata.

È però una cucina genuina, che rispecchia il territorio ma non si fissa sul chilometro zero. Una cucina coerente con ciò che Carlotta racconta e trasmette, tanto a parole quanto con gli occhi. Che cosa si mangia? Innanzitutto (almeno per ora) non c’è un menu degustazione: “Voglio lasciare liberi i clienti di scegliere i piatti secondo i loro gusti, non costringerli a mangiare ciò che dico io”, confessa la chef. Non è escluso in futuro, però, un piccolo percorso proposto dalla cucina.

Passiamo ai piatti assaggiati. I funghi cardoncelli sono succosi e consistenti quasi come un pezzo di carne, super la crema di pecorino su cui è adagiato l’uovo barzotto, accompagnato da fave (e chi se non loro, sennò) asparagi e piselli (che un po’ qua in mezzo scompaiono per la loro delicatezza). La lingua di vitello “tonnata” è stata una piacevole scoperta, così come i bottoni ripieni di coniglio con mascarpone e lime. Dei due secondi assaporati non so davvero quali scegliere: da una parte l’anatra con una deliziosa crema di barbabietola (accostamento più che azzeccato), dall’altra una quaglia ripiena di maiale, funghi e uvetta che probabilmente entra nella lista dei miei piatti del cuore. Non sarà una cucina gourmet come affermano Carlotta e Gabriele (che poi cosa significa davvero, gourmet) ma è una cucina che per certi versi ricorda quella di casa, famigliare, in cui potersi identificare e riconoscere, fatta con tutti i crismi e le attenzioni del caso, se non anche qualcosa in più.

Brava Carlotta e bravo Gabriele: tra l’altro vi si legge negli occhi e lo si vede nei modi che siete brave persone.

Foto di Officina Visiva